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Storia della Borsa, la rubrica curata da Fabrizio Fiorani, prosegue oggi con una puntata speciale: si esce da vicende strettamente legate alla borsa ed al trading per parlare dell’economia italiana. Gioie e (tanti) dolori, con una serie di problematiche, spesso decennali, che frenano la crescita economica dell’Italia.

La crisi economica italiana: una lunga storia…

Sono un “boomer” che è cresciuto professionalmente nel mondo della finanza ed ha vissuto sulla propria pelle le varie fasi della crescita e della crisi dell’economia italiana. Figlio dell’Italia in pieno sviluppo ho ricordi vividi di quegli anni. Forse la mia generazione è quella che più ha percepito i cambiamenti sociali e tecnologici degli ultimi 50 anni. L’esperienza sul campo mi ha fatto maturare ferme convinzioni sulle origini della crisi economica del nostro Paese che cercherò di descrivere.

Mi presento, ho 62 anni, i miei genitori sono di origini marchigiane ed emigrati in Francia per lavoro dove sono nato. Nel 1964 ci siamo trasferiti a Milano anche se io ho vissuto la seconda infanzia con i miei nonni in un piccolo paesino nell’entroterra marchigiano.

A 6 anni, con l’inizio delle scuole, sono rientrato stabilmente a Milano dove ho sempre abitato ed iniziato a lavorare in ambito finanziario nel 1983.

Il “miracolo economico italiano”

Fabrizio Fiorani “alla guida” della Vespa, uno dei simboli dei mitico boom italiano degli anni Sessanta.

Partirei dal cosiddetto “miracolo economico Italiano” dei primi anni 50/60. Usciti devastati dalla seconda guerra mondiale grazie alla nostra grande capacità artigianale, manodopera a basso costo, aiuti finanziari ricevuti dall’America (piano Marshall) e all’adesione alla Comunità economica europea (Roma 1957), il nostro Paese conosce un vero e proprio boom economico.

Lo Stato vara un imponente piano di opere pubbliche per ricostruire l’Italia, nascono rapidamente fabbriche in tutto il centro nord dove si raggiunge la piena occupazione, si registrano notevoli flussi migratori dal sud al nord, nasce l’industria delle vacanze e tanto altro. Attraverso i racconti dei miei genitori ed avendo vissuto da piccolissimo in una realtà dedita all’agricoltura ed alla pastorizia ho meravigliosi ricordi di quel periodo. I primi elettrodomestici, la Vespa del nonno, la Fiat 500 del papà, le gite al mare ed in montagna mi hanno fatto assaporare quell’atmosfera magica.

Negli anni 50/60 l’Italia è stata uno dei Paesi con la maggiore crescita economica ed è entrata a far parte degli Stati più industrializzati.  Purtroppo da quel momento qualcosa deve essere “andato storto” e quei livelli non sono stati più raggiunti.

La prima crisi economica

Un fatto esogeno che ha imposto una decisa svolta è stata la crisi petrolifera del 1973 che ha provocato una grave recessione a livello mondiale. Il fabbisogno energetico italiano dipendeva al 75% dalle importazioni di petrolio e l’aumento dei costi della materia prima ha avuto un forte impatto sulle spese di produzione delle nostre imprese.

Al fine di recuperare margini, molti imprenditori scelgono di appaltare parte della produzione ad aziende più piccole. Il processo di industrializzazione che era ancora giovane e vulnerabile subisce così un duro colpo. Si passa da un modello di produzione industriale concentrato ad un modello frammentato con una serie di conseguenze negative che si manifesteranno, come vedremo, anche nell’era della “globalizzazione”. Le piccole imprese per accaparrarsi le commesse, spesso sono costrette a ricorrere all’evasione fiscale ed al lavoro “in nero”. L’economia sommersa, con i connessi costi sociali e mancati introiti statali, contribuisce ad aggravare il disavanzo pubblico.

Circolo vizioso: “inflazione, scala mobile, inflazione”

In quel periodo e negli anni a venire le nostre imprese si sono inoltre trovate di fronte un sindacato forte e meccanismi di rivalutazione automatica delle retribuzioni dei lavoratori (accordo Agnelli-Lama sul punto unico di contingenza del 1975). Si è instaurato un circolo vizioso, con l’inflazione che, attraverso la scala mobile, faceva lievitare i salari che a loro volta facevano salire l’inflazione.

Un aumento dei costi delle materie prime e della manodopera superiore a quella dei concorrenti esteri ha provocato una perdita di competitività per le nostre imprese. Scaricare gli aumenti sui prodotti tendeva a ridurre le vendite (sia verso l’interno che soprattutto verso l’estero), non farlo significava contrarre i margini di profitto e l’autofinanziamento. L’inflazione inoltre bruciava parte dei risparmi e del potere d’acquisto degli stipendi con conseguenze negative sui consumi interni. Infine l’innalzamento dei tassi di interesse rendeva più onerosi i finanziamenti sia delle imprese che delle persone fisiche scoraggiando ulteriormente gli investimenti.

La crisi petrolifera del 1973

Tornando alla crisi energetica del 1973, l’Italia da una parte cercò di comprimere i consumi di energia attraverso misure di austerity fra le quali ho ancora presente il blocco totale del traffico pubblico e privato la domenica e successivamente l’introduzione delle “targhe alterne”. Dall’altra il nostro Paese nel 1975, col suo primo Piano Energetico Nazionale, decise di costruire nuove centrali nucleari. Tuttavia l’esito del referendum del 1987 decretò di fatto la fine del nucleare in Italia.

Borsa alle grida
La borsa di una volta… Sala trading anni Ottanta

Credo che indire quel referendum sia stato un errore. Il popolo spesso non ha le competenze per assumere certe decisioni strategiche che spettano ai politici eventualmente supportati da pareri tecnici.

Riporto le parole di mio padre riguardo ai tempi della costruzione dell’Autostrada del Sole (1956-1964): “fra amici spesso discutevamo sui terreni ed i raccolti che sarebbero andati distrutti per permettere la realizzazione di quell’opera non necessaria”. Fortunatamente non si richiese una consultazione elettorale, l’opera fu realizzata, diventò un simbolo di efficienza e permise un notevole impulso alla motorizzazione sia nell’industria che nel turismo.

Non possedendo grandi giacimenti di idrocarburi ed avendo rinunciato al nucleare non restava che cercare altre fonti ma, a parte l’idroelettrico, erano tecnologie nuove, con alti costi di installazione e tempi lunghissimi per rientrare dall’investimento. Di fatto ancora oggi l’Italia importa circa i 3/4 dell’energia dall’estero, i costi sono fra i più alti in Europa e la competitività delle nostre imprese è penalizzata. Sarà indispensabile installare nuova capacità energetica ripensando al nucleare (reattori di ultima generazione capaci di produrre energia pulita e in grande quantità) e puntando su fonti rinnovabili (energia solare, eolica, idroelettrica, geotermica, maremotrice e quella derivata dalle biomasse). La politica dovrà avere un ruolo chiave nel processo di transizione energetica attraverso incentivi e permettendo di superare lungaggini e impedimenti burocratici che rappresentano uno dei maggiori ostacoli agli investimenti.

Se lato costi energetici non andò bene maggiori risultati si raggiunsero, dopo circa un decennio, lato inflazione. A depotenziare la devastante spirale inflazionistica descritta in precedenza, sono intervenuti gli accordi Governo, Imprese, Sindacati del 22/01/83 (decreto Scotti) e del 14/02/84 (decreto di San Valentino) che hanno rispettivamente posto fine allo scontro sociale sindacati / industria sui contratti integrativi ed introdotto un taglio di 4 scatti alla scala mobile. Riguardo a quest’ultima nel 1985 la CGL, che non aveva acconsentito all’accordo, propose un referendum abrogativo dello stesso che inaspettatamente non sortì l’effetto da lei sperato. Occorrerà comunque attendere il 31 luglio 1992 per vedere l’abolizione definitiva della scala mobile da parte del Governo.

Crescita del debito pubblico

Ma un altro “bubbone” stava montando: la crescita del debito pubblico. Dagli inizi degli anni 70 il rapporto Debito/PIL era iniziato a salire sia per effetto degli stimoli all’economia necessari a contrastare la recessione ma anche per supportare società decotte e misure volte unicamente a guadagnare consenso elettorale.

Un esempio eclatante le baby pensioni. Introdotte nel 1973 consentivano nell’impiego pubblico di uscire dal mondo del lavoro dopo appena 19 anni sei mesi e un giorno per gli uomini e 14 anni 6 mesi e un giorno per le donne sposate con figli. Nonostante l’evidente squilibrio che si sarebbe determinato tra entrate ed uscite nelle casse dell’INPS, si riuscì solo nel 1995 a porre fine a quel privilegio che ancora oggi produce pesanti effetti. Dall’ultimo rapporto “Il Bilancio del sistema previdenziale italiano”, emerge che quasi 400.000 persone hanno iniziato, in media, a percepire l’assegno di previdenza a poco più di 39 anni e ricevono la pensione da oltre quarant’anni.

Un altro esempio che in passato mi ha lasciato perplesso riguardava le modalità di erogazione dei contributi statali per finanziare alcune opere. I fondi venivano assegnati non in base alla bontà del progetto ma dell’ordine cronologico della presentazione delle domande. Chi aveva informazioni privilegiate sui documenti richiesti dal bando del concorso risultava favorito a discapito di altri che avevano presentato progetti magari più validi. Come conseguenza, opere antieconomiche sono spesso rimaste incompiute o finite per essere inutilizzate.

Capire la crisi economica Italiana: il debito

Ci sarebbero un’infinità di altri esempi di “debito cattivo” che, non producendo sviluppo, si è riflesso nell’aumento del rapporto Debito/PIL gettando le basi per la crisi del debito pubblico.

Dal 1973 al 1981 la crescita del rapporto Debito/PIL è comunque ancora modesta (passa dal 55% al 60%). La Banca d’Italia dal 1975 ha l’obbligo di comprare i titoli di Stato non collocati sul mercato primario contribuendo a mantenere interessi nominali relativamente contenuti e tassi reali negativi. Per finanziare gli acquisti l’Istituto ricorre all’emissione di moneta che ha come controindicazioni un aumento dell’inflazione ed un indebolimento della Lira.

Nel 1981 però il divorzio consensuale fra Bankitalia e Tesoro costringe quest’ultimo a finanziarsi ai tassi di interesse richiesti dal mercato che crescono rapidamente. Si passa da tassi reali negativi a positivi e gli effetti “benefici” dell’inflazione sul debito scompaiono. Cresce la spesa per interessi ed il rapporto Debito/PIL sale dal 60% del 1981 al 122% del 1994.

obbligazioni

Rendimenti appetibili superiori anche al 20% annuo, unitamente ad una scarsa cultura finanziaria, hanno anche avuto come effetto collaterale quello di convogliare il risparmio degli italiani verso l’investimento obbligazionario a discapito di quello azionario. Come conseguenza le imprese sono state costrette a ricorrere al più costoso finanziamento bancario. La problematicità di reperire capitali di rischio ha inoltre comportato una minor patrimonializzazione delle aziende e la difficoltà ad effettuare investimenti remunerativi.

Una scelta miope dei nostri politici intenti ad accrescere i consensi nel breve periodo scaricando sul futuro i problemi derivanti. Nel novembre 2024 il debito pubblico italiano ha superato i 3.000 miliardi (135,8% del PIL), oltre 50.000 euro a cittadino italiano, neonati compresi. Un fardello enorme che grava sulle casse dello Stato con interessi per circa 90 miliardi annui (4,2% del PIL).

Un Paese con un debito elevato tende a crescere meno nel medio periodo perché i tassi di interesse risultano più alti, lo Stato ha minori risorse per sostenere l’economia, aumenta il grado di incertezza e questo scoraggia gli investimenti. Siamo tutti consapevoli che il debito pubblico non verrà mai ripagato ma quantomeno occorrerebbe cercare di ridurre il rapporto Debito/PIL attuando riforme strutturali volte a innalzare il tasso di crescita del PIL attraverso maggior produttività e competitività.

Instabilità politica

L’instabilità politica è stato un altro fattore che ci ha penalizzato. Dal 1946 ad oggi, in Italia si sono alternati ben 68 Governi. Nonostante la durata prevista dalla Costituzione per la legislatura che è di 5 anni, in media, i Governi italiani, sono rimasti in carica meno di un anno e due mesi. Se si esclude inoltre il periodo fra le dimissioni del Governo (che rimane in carica per svolgere solo l’ordinaria amministrazione) e l’insediamento del successivo, l’azione di Governo effettiva scende a poco più di un anno.

Un esecutivo che teme elezioni anticipate difficilmente intraprende riforme strutturali che solitamente richiedono sacrifici a breve e producono effetti positivi nel medio periodo. Inoltre per sostenere il Governo è stato spesso necessario ricorrere a coalizioni con partiti anche minori ma che con il 2-3% erano in grado di imporre le loro condizioni. Ricordo negli anni 80 il Pentapartito formato da ben cinque partiti (DC, PSI, PRI, PLI, PSDI) senza contare le “correnti” che componevano alcuni di questi ed in particolare quello della Democrazia Cristiana. Le difficoltà nel trovare una sintesi condivisa, la diversa composizione fra Deputati e Senatori e la necessità di approvare una legge nel medesimo testo sia alla Camera che al Senato non hanno agevolato rapidità ed incisività dei provvedimenti.

Governi di breve durata sono generalmente impossibilitati a costruire una direzione di marcia per il proprio Paese ed a rafforzare le relazioni con altri Stati per incidere sugli scenari internazionali. Occorre quindi apportare modifiche alla legge elettorale che agevolino la formazione di maggioranze parlamentari più stabili.

Mancanza di meritocrazia

In Italia un’altra questione è stata la mancata valorizzazione del merito in tutti gli ambiti della società. Dall’ideologia del 6 politico del 1968 a quella recente dell’uno vale uno non è cambiato molto. La preparazione universitaria è “debole” per mantenere livelli omogenei tra gli atenei, nelle assunzioni spesso contano le raccomandazioni e le carriere solitamente avvengono per anzianità.

Ai vertici delle amministrazioni pubbliche o delle società statali le nomine sono dettate da “affiliazioni politiche” con i vari Direttori che, restando in carica fino alla scadenza del mandato, possono trovarsi in contrasto in caso di variazione della maggioranza di Governo. Tali discorsi valgono anche per moltissime piccole imprese che collocano i familiari non solo nei board ma anche nelle posizioni esecutive. Genitori, figli, fratelli e cugini con personalità ed obiettivi diversi portano spesso a tensioni e conflitti che penalizzano l’efficienza operativa e la sostenibilità a lungo termine dell’impresa.

Anche a livello salariale conta di più la contrattazione nazionale piuttosto di quella aziendale. I differenziali salariali rispetto a quelli nazionali sono modesti e non correlati con la produttività delle imprese. Un’azienda di successo che scommette su nuovi investimenti e che fa innovazione, dovrebbe avere la possibilità di far partecipare agli utili i propri lavoratori. Un Magistrato che svolge bene il suo lavoro in tempi ragionevoli dovrebbe ricevere una ricompensa per il suo impegno. Prevale invece l’appiattimento generale e quindi la mancanza di stimoli al miglioramento.

Crisi economica italiana: la questione demografica

Un altro gravissimo problema per l’economia italiana è quello della crisi demografica. Da tempo assistiamo ad una tendenza al calo della natalità. Il tasso di fecondità (numero medio di figli per donna in età feconda) che fino alla fine degli anni 60 era stabilmente sopra il 2,5, dal 1970 ha iniziato una inesorabile tendenza alla discesa. Già nel 1977 si è portato sotto la soglia di 2 che rappresenta il livello “spartiacque” per la continuità demografica. Nel 2023 si è attestato a 1,20 che è un dato tra i più bassi al mondo, al di sotto della media europea e, per fare un raffronto con un Paese a noi vicino, nettamente inferiore a quello della Francia che nel 2023 era di 1,69. Si è registrata anche una tendenza costante all’innalzamento dell’età media delle madri al parto che si è portata da 27,47 del 1980 a 32,49 del 2023. Se dovesse rimanere questa bassa fertilità, con il passare del tempo si ridurrà la popolazione in età riproduttiva e questo influirà negativamente sulle nascite.

Molte le cause che inducono le coppie a non avere figli o a posticipare la data del concepimento: maggiore partecipazione al lavoro delle donne, complessità nel conciliare carriera e maternità, aumento del costo della vita, difficoltà di accesso a scuole materne pubbliche, costi elevati per l’istruzione, prolungamento della vita scolastica, entrata ritardata nel mondo del lavoro, precarietà occupazionale, stipendi bassi, difficoltà sul piano residenziale ecc. Oltretutto si sentono sempre più spesso coppie con problemi di fertilità dovuti a diversi fattori sia fisici che psicologici che ritardano o impediscono la messa al mondo di un figlio.

Immigrazione: un freno al calo demografico

L’immigrazione di cittadini stranieri ha, al momento, evitato un crollo demografico. Comunque la popolazione residente in Italia dal massimo di 60,8 milioni raggiunti nel 2014 ha iniziato un declino continuo che al primo gennaio 2024 l’ha riportata a 58,99 milioni. Di questi la popolazione residente di cittadinanza straniera era di 5,31 milioni (9%) e mantenere l’equilibrio non è comunque facile.

Una bassa natalità unitamente all’aumento delle aspettative di vita, si sono ripercossi in un invecchiamento della popolazione. Nel 1951 il rapporto fra bambini (sotto i 5 anni) ed anziani (sopra 65 anni) era di 1 a 1 mentre nel 2011, per ogni bambino c’erano 3,8 anziani e addirittura 5,8 nel 2023. Al 1° gennaio 2023, l’età media della popolazione italiana era di 48,4 anni, la più alta in assoluto dei Paesi della UE che registrava una media di 44,5 anni. Nel 2000 l’età media era di 40,1 anni quindi, in poco più di due decenni, si è innalzata di 8,3 anni contro ad esempio i 5,6 anni (da 39,8 a 45,4) della Germania.

Ad aggravare la situazione vi è anche la scarsa attrattività dell’Italia per i giovani. Secondo alcuni studi, per ogni giovane che arriva in Italia dai Paesi avanzati, otto italiani vanno all’estero. Dal 2011 al 2023, circa 550.000 ragazzi italiani tra i 18 e 34 anni sono emigrati. Un ulteriore danno economico rilevante è legato ai costi sopportati dallo Stato per l’istruzione degli studenti che poi vanno ad alimentare le competenze di altri Paesi impoverendo il nostro.

Una popolazione “anziana” rallenta la crescita economica: meno persone lavorano e la loro produttività è inferiore in quanto dotate di minor energia e fantasia e poco incentivate ad accumulare risparmi per garantire un futuro ai propri figli. Altro macigno è rappresentato dal peso crescente sui conti pubblici della spesa per pensioni e sanità.

La soluzione a questo grave problema sarebbe quella di destinare maggiori risorse a: sostegno alle famiglie con prole numerosa, agevolazioni lavorative per assistere i figli, servizi per la primissima infanzia, politiche attive per il lavoro ecc. Un’impresa di difficile attuazione date le scarse disponibilità ma necessaria in quanto la competizione fra i Paesi che si trovano in questa situazione, sarà nell’attrarre giovani qualificati per supportare il proprio sviluppo economico.

Divario di crescita economica fra meridione e settentrione

Un altro tema annoso è il minore sviluppo economico del sud rispetto a quello del nord che abbassa in modo considerevole il reddito medio pro capite. Sulle motivazioni dell’arretratezza del meridione ci sono diverse opinioni che fanno risalire l’inizio di questa tendenza intorno alla metà del 1800.

Territorio impervio ed infestato dalla malaria, reti stradali e ferroviarie assenti hanno condizionato l’agricoltura che era la principale attività del mezzogiorno. La mancanza di una visione imprenditoriale, anche a causa della presenza di grandi latifondisti, ha inoltre ostacolato al sud la formazione di una classe borghese moderna ed aperta all’innovazione.

Previsioni Italia

Si arriva alle guerre mondiali . Qui l’industria del nord può contare sulle commesse belliche (armi, munizioni ecc.) e su quelle per la ricostruzione mentre il richiamo alla guerra priva il sud dei contadini dediti all’agricoltura.

Lo scarso peso politico della classe latifondista meridionale rispetto a quella industriale del nord ed il maggior ritorno economico atteso dagli investimenti nel settentrione si fanno sentire anche nel periodo immediatamente successivo alla fine della seconda guerra mondiale.

Parte dei finanziamenti del piano Marshall destinati alla costruzione di nuove industrie nel sud vengono dirottati nell’apparato industriale del nord. Nel meridione le difficili condizioni economiche con tassi di disoccupazione elevati favoriscono l’insorgere di bande che si danno al brigantaggio.

Nel 1950 il divario tra il reddito pro capite del sud ed il resto del Paese tocca il suo punto di massimo. Viene perciò creata la Cassa del Mezzogiorno al fine di realizzare opere significative quali strutture idriche, viarie e volte allo sviluppo industriale. Tuttavia, con il passare del tempo, episodi di corruzione, infiltrazioni mafiose e mala gestione del denaro pubblico, fanno perdere efficacia alla qualità degli investimenti o addirittura le opere pubbliche non vengono completate. Il differenziale fra il reddito pro capite nord/sud mostra infatti una decisa tendenza alla riduzione fra il 1950 ed il 1970 salvo poi tornare ad ampliarsi e perdere buona parte del terreno recuperato.

Al parziale fallimento dello Stato si contrappone invece lo sviluppo della mafia favorita da pratiche clientelari che le assicurano una presa salda sul territorio.

Credo quindi che l’infiltrazione della malavita organizzata nella vita politica ed economica del mezzogiorno sia stata e continui ad essere il motivo per il quale molti imprenditori non investono su tali aree o se lo fanno devono necessariamente scendere a patti con esponenti della mafia. Il tarlo è talmente ramificato che si estende anche alle attività minori. Ricordo a Palermo un tabaccaio costretto a vivere costantemente armato nel proprio negozio dopo le numerose rapine e minacce personali subite dal “racket del pizzo”. 

La criminalità organizzata purtroppo si è diffusa al centro-nord Italia, in Europa ed in tutto il mondo. Un fenomeno di così ampio respiro potrà essere combattuto solo a 360°. Partendo dal basso attraverso uno sforzo collettivo che incida sulle nuove generazioni aiutandole ad avere strumenti di consapevolezza del problema, a livello superiore tagliando le relazioni con professionisti ed istituzioni e dall’alto con accordi fra Stati.

Burocrazia eccessiva

Un aspetto che influisce invece negativamente sulla crescita del nostro intero Paese è sicuramente il livello eccessivo di burocrazia. Quest’ultima infatti, oltre a far lievitare i costi delle imprese che devono dedicare personale a svolgere queste attività a discapito di quelle produttive, allunga i tempi di attesa per ottenere eventuali documenti o permessi scoraggiando gli investimenti anche esteri in Italia.

Tuttavia alcune regole ben dettagliate mi rendo conto siano necessarie in quanto la nota creatività del nostro popolo non sempre viene utilizzata a fin di bene. Due recenti esempi mi hanno colpito:

  • Siamo nel 2020 in emergenza COVID. Viene emanato un decreto di chiusura dei locali della movida alle ore 24 (senza stabilire l’orario di apertura). Alcuni bar chiudono a mezzanotte e riaprono dopo dieci minuti. Incredibile ma vero, siamo in Italia d’altronde.
  • 2021 – SuperCashback di 1.500 euro ai primi 100.000 partecipanti al concorso che effettueranno il numero maggiore di transazioni in un semestre con pagamenti elettronici (senza fissare un minimo a transazione). Molte persone effettuano migliaia di rifornimenti di carburante per pochi centesimi cadauno ai distributori. Il tutto per la disperazione dei benzinai che si vedono addebitare le commissioni bancarie.

Credo quindi sia necessario un processo di riduzione della burocrazia accompagnato da un’opera di educazione nelle scuole e nelle famiglie volta a diffondere già nei ragazzi la cultura della legalità, la conoscenza dei valori costituzionali. Ciò affinchè possano diventare cittadini consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri, capaci di comportarsi con responsabilità nei confronti della comunità.

Corruzione

Altro tasto dolente riguarda la corruzione. Senza toccare il caso “mani pulite” o il caso “Enimont” (passato alla storia come “la madre di tutte le tangenti”), credo che questo tarlo in passato sia stato talmente ramificato da raggiungere anche le piccole attività.

Un aneddoto del 1983. Essendo nato in Francia mi son dovuto recate a Roma per richiedere il certificato penale necessario ad accedere alla Borsa Valori di Milano. L’addetto allo sportello mi ha però comunicato che il “cicerone” (francobollo particolare) da apporre sul documento era terminato e non poteva rilasciare il documento. Fortunatamente mi aveva accompagnato un mio zio romano che ha fatto immediatamente presente all’impiegato la nostra disponibilità a “pagà er disturbo”. Nonostante il mio imbarazzato in un attimo la banconota che avevo in mano è stata sostituita dal documento richiesto con tanto di cicerone.

La corruzione ha impatti negativi sull’economia in quanto vengono favorite le imprese in grado di corrompere per ottenere appalti che poi magari vengono realizzati in modo inefficiente. Oltretutto per cercare di arginare tale fenomeno si richiedono maggiori controlli e moduli da compilare che tendono a rendere più costose le opere ed a ritardarne la realizzazione.

L’indice di Percezione della Corruzione (CPI) di Transparency International che misura la percezione della corruzione nel settore pubblico e nella politica ha visto nel 2023 l’Italia classificarsi al 42° posto su una classifica di 180 Paesi in tutto il mondo. Sebbene il nostro Paese si trovi ancora nella parte bassa della classifica recentemente ha recuperato qualche posizione. In una scala di valori che va da 0 (corruzione massima) a 100 (minima), il punteggio dell’Italia nel 2023 è stato di 56, in miglioramento di 3 punti rispetto al 2020 e di 14 punti rispetto al 2012. La nota positiva è che ci stiamo lentamente avvicinando alla media dei Paesi dell’Europa occidentale che nel 2023 è stata di 65 punti.

Lentezza della giustizia

La giustizia civile italiana è fra le più lente d’Europa. Come prima considerazione si rileva che in Italia vengono introdotte una quantità di contenziosi civili estremamente elevata rispetto ad altri importanti Paesi europei. Fra le cause si può pensare ad una maggiore litigiosità degli italiani meno inclini a trovare un accordo extragiudiziale alle loro contese.

Giustizia in Italia

Un secondo motivo riguarda l’incertezza del diritto. Molte leggi non sono scritte in maniera chiara e si prestano all’interpretazione. Inoltre il giudice di primo e secondo grado può discostarsi dalle linee guida della Cassazione purché argomenti adeguatamente le sue scelte.

Altro elemento il numero eccessivo di avvocati iscritti all’Albo in Italia che potrebbero essere incentivati, per lavorare, ad introdurre cause anche quando non c’è possibilità di vittoria. Infine l’organico della Magistratura risulta sottodimensionato: 11,86 Magistrati ogni 100.000 abitanti rispetto ad una media di 22,2 delle altre nazioni indipendenti europee. Tutto ciò si traduce in un massiccio numero di cause pendenti che, avendo difficoltà ad essere smaltite, determina un ingolfamento della giustizia e la lentezza dei processi civili.

Questo fenomeno impatta negativamente sull’economia perché scoraggia gli investimenti, aumenta i costi legali ed amministrativi, sfavorisce lo sviluppo del mercato del credito, ritarda l’esecuzione dei lavori ecc. Uno studio del Cer-Eures del 2017 ha evidenziato che se i tempi della giustizia italiana fossero analoghi a quelli tedeschi, avremmo un aumento aggiuntivo di quasi 2,5 punti di PIL.

Convergenza ed entrata nell’Euro

Una scelta necessaria ma sofferta è stata quella di entrare a far parte dell’Euro. Al fine di indirizzare l’entità dei nostri alti rapporti di deficit di bilancio e di debito pubblico sul PIL verso i parametri richiesti, sono state attuate finanziarie “lacrime e sangue” che hanno pesato su occupazione e crescita. D’altro canto la riduzione dell’inflazione e dei tassi di interesse “indorava” la pillola amara.

Purtroppo dopo l’ammissione dell’Italia nell’Euro (avvenuta ad un cambio di 1.936,27) non sono state attuate politiche volte ad un recupero di competitività ma si è proseguito con le politiche inerziali inflattive. In particolare è mancato un controllo sui prezzi, tanto che, ai tempi si sentiva spesso dire: “tutto quello che prima costava 10.000 Lire ora costa 10 Euro (quasi 20.000 Lire)”. Maggiori costi di produzione hanno portato ad una perdita di competitività dei nostri prodotti nei confronti di quelli degli altri Paesi aderenti con riflessi negativi su esportazioni e crescita economica.

In passato, per recuperare competitività, si ricorreva alla svalutazione della Lira. Le imprese tornavano a “respirare” ma gli italiani con la liretta in tasca diventavano sempre più poveri nei confronti degli altri cittadini esteri. Già nel 1973 Celentano cantava “Svalutation” che, oltre a citare diverse problematiche di allora, poneva l’accento sull’inflazione e sulla svalutazione della nostra moneta.

Ricordo un amico marchigiano che lavorava in una fabbrica tessile che esportava principalmente verso la Germania. Nell’agosto del 1992 era stato messo in cassa integrazione ed era preoccupato per il suo posto di lavoro. L’imprenditore gli aveva spiegato che ogni Marco che riceveva dai clienti tedeschi valeva circa 760 Lire ed a quel cambio non era più in grado di coprire i costi.

Lo incontrai nuovamente dopo un paio di mesi, il Marco valeva intorno a 1.000 Lire e il suo capo gli aveva detto che sarebbe tornato a lavorare. Si concesse una vacanza per festeggiare ma, a differenza degli anni precedenti, non andò all’estero in quanto il viaggio era diventato troppo costoso. Andò peggio ad un altro amico di Milano. Qualche tempo prima aveva contratto un mutuo in ECU in quanto i tassi di interesse erano molto convenienti rispetto a quelli stipulati in Lire. Dopo la svalutazione della nostra moneta nel settembre del 1992 aveva però registrato una forte perdita in conto capitale ed era in difficoltà nel pagare la rata del mutuo.

Con l’adozione dell’Euro, non essendo più possibile ricorrere alla svalutazione (della Lira), l’unica strada percorribile per non perdere competitività è quella di puntare sul recupero di produttività e sull’innovazione di prodotto, strade più impegnative ma obbligate.

La globalizzazione

Il fenomeno della globalizzazione ha fatto emergere un’altra criticità per il nostro Paese che è stato da sempre caratterizzato da un sistema produttivo principalmente formato da piccole e medie imprese (PMI). “Piccolo è bello” si diceva ed in effetti lo spirito imprenditoriale e la creatività degli italiani, la rapidità nelle decisioni e la snellezza dei processi produttivi consentita dalle PMI, hanno rappresentato per decenni esempi di eccellenza nel mondo.

tasse
L’economia cambia

Con la mondializzazione dei mercati si è però verificata una forte correlazione fra dimensioni aziendali e produttività. Le imprese più grandi possono contare su economie di scala a livello produttivo, organizzativo, di conoscenza, di ricerca e tendono ad essere più produttive rispetto a quelle di dimensioni inferiori.

All’interno dei Paesi sviluppati l’Italia è quello con la più alta percentuale di micro e piccole imprese quindi, data la caratteristica di una bassa produttività di queste ultime rispetto alle grandi, risultiamo meno produttivi in confronto ad altri Paesi. Fra le motivazioni della mancata crescita dimensionale delle nostre aziende vi è la proprietà familiare. L’imprenditore ha difficoltà ad aprirsi a capitali esterni, per cui le società rimangono sottocapitalizzate e non riescono ad effettuare gli investimenti necessari a finanziare l’espansione. Altre motivazioni vanno ricercate nella bassa capacità dell’Italia di attrarre investimenti diretti esteri per i vari motivi descritti in precedenza.

Evasione fiscale

È nelle piccole/micro imprese e nei liberi professionisti che si annida oltretutto la piaga dell’evasione fiscale. Oltre all’ammanco per le casse dello Stato il rischio è che vengano favorite le aziende che pongono in essere pratiche di evasione fiscale a danno di imprese più capaci ma virtuose. Nel medio periodo ciò tende a generare un’economia meno efficiente.

Dal 2017 questo fenomeno in Italia è in calo costante e progressivo grazie all’importante recupero dell’IVA. Secondo l’ultima relazione pubblicata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze nel 2021 il cosiddetto tax gap (cioè la differenza tra il gettito fiscale e contributivo teorico e quello effettivamente incassato) era pari a 82,4 miliardi di euro (108,4 nel2017). Nell’evasione, la “parte del leone” la fanno ancora i lavoratori autonomi con oltre 29,6 miliardi (33,3 nel 2017) e un tax gap di circa il 67%, segue l’IVA con minori entrate valutate in circa 17,8 miliardi (in netta contrazione rispetto ai 35,6 del 2017). Nonostante detti importanti miglioramenti, con un tax gap nel 2021 del 10,8%, l’Italia rimane sopra la media europea che è del 5,3%.

Le misure introdotte per ridurre l’evasione stanno dando buoni risultati in termini di recupero di risorse finanziarie e sta cambiando anche la mentalità comune in merito a questo argomento. Fino a qualche tempo fa spesso sentivo definire l’evasore come una persona “in gamba”. Le giustificazioni erano una tassazione troppo elevata e che comunque se si fossero versate più tasse, lo Stato le avrebbe sperperate. Solo ultimamente l’evasione fiscale sta gradatamente assumendo un’accezione negativa e ci si rende conto che una riduzione della stessa potrebbe eventualmente consentire un abbattimento della pressione fiscale (“pagare tutti per pagare meno”).

Spesa pubblica

Un aspetto invece dove i risultati sono stati deludenti è quello sulla riduzione dell’enorme spesa statale. Da moltissimi anni il problema è considerato dai Governi e sono stati nominati anche Commissari straordinari alla “spending review” illustri come Enrico Bondi (Governo Monti) e Carlo Cottarelli (Governo Letta) solo per fare qualche nome. Purtroppo i risultati complessivamente non sono stati soddisfacenti anche per la mancanza di un adeguato supporto politico alle proposte effettuate.  Abbiamo una spesa pubblica annuale intorno ai 1.000 miliardi e un’analisi approfondita delle uscite permetterebbe di tagliare sprechi e liberare risorse da utilizzare in maniera più proficua.

Turbolenze economiche

Chiaramente quando un Paese è strutturalmente debole tende ad essere più vulnerabile in caso di turbolenze economiche. La crisi del 2008 dei mutui subprime partita dagli Stati Uniti ha provocato una grave recessione mondiale. I Paesi per contrastarla hanno aumentato molto i deficit di bilancio cosa che noi, con un enorme stock di debito sulle spalle, abbiamo potuto fare solo in minor misura.

Per non parlare della speculazione che, se vede un focolaio, lo alimenta per trarre profitto dall’incendio che ne dovesse divampare. Un esempio eclatante è stata la crisi dei debiti sovrani del 2011. Facendo leva su alcuni Paesi accomunati da situazioni finanziarie non virtuose (i cosiddetti “PIIGS”: Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) gli speculatori puntarono sulla disgregazione dell’Europa e l’Italia passò momenti drammatici con lo spread che, nel novembre 2011, si avvicinò a 600 punti. Nonostante un Governo tecnico guidato da Mario Monti che assunse provvedimenti drastici per riequilibrare i nostri conti, lo spread, dopo un’iniziale discesa, tornò sui 500 punti. Solo il Governatore della Banca Centrale Europea Mario Draghi riuscì a porre fine all’attacco speculativo ed a salvare Italia ed Euro nell’estate del 2012 pronunciando le famose parole: “Whatever it takes” («Nei limiti del nostro mandato, la Banca Centrale Europea è pronta a fare qualsiasi cosa per salvare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza»).  

Anche nella crisi del 2020 legata al COVID l’Italia ha sofferto più di altri Paesi e pure in questo caso l’Europa ha avuto un ruolo fondamentale nel salvataggio. Si è dovuto aumentare il deficit di bilancio ma gran parte del debito è stato contratto nei confronti della BCE (tecnicamente e legalmente della Banca d’Italia) evitando un eccessivo ricorso al mercato e quindi scongiurando speculazioni contro uno Stato ritenuto poco affidabile.

Ritardo tecnologico

Da dove nasce la crisi economica italiana? I problemi sono parecchi, ma possiamo dire che l’economia italiana è stata particolarmente colpita dalla concorrenza dei Paesi emergenti ed in particolare dalla Cina che dal 2001 è entrata nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). In soli due decenni la Cina è diventata il primo esportatore mondiale di beni e molte delle nostre aziende, che hanno cercato di competere sulla produzione di massa, sono state sconfitte.

Quelle che hanno puntato invece su prodotti di qualità hanno avuto maggiori chances anche se, molte aziende “top del Made in Italy”, sono state acquisite da holding finanziarie asiatiche o multinazionali straniere.

Il nostro Paese ha inoltre accumulato importanti ritardi nello sviluppo e nell’innovazione tecnologica rispetto alla media europea che, a sua volta, segue a distanza i grandi player come Cina e Stati Uniti. In un recente rapporto all’Unione Europea, l’economista Mario Draghi ha sottolineato che quest’ultima dipende dai Paesi stranieri per più dell’80% dei prodotti digitali, dei servizi, delle infrastrutture e della proprietà intellettuale. Tale percentuale è acuita soprattutto nei “chip” ma anche nell’intelligenza artificiale e nel cloud computing.

Una causa del ritardo dell’Italia sono i bassi investimenti effettuati in ricerca e sviluppo e nell’alta tecnologia. Si tratta di due settori che esercitano di fatto un ruolo limitato nel nostro Paese. La via maestra è ora quella di investire in ricerca e sviluppo ed avviare una transizione interna verso un’economia ad alto valore aggiunto.

Conclusioni

Le cause della crisi dell’economia italiana come abbiamo visto sono molteplici. Decisioni politiche dettate prevalentemente dal tornaconto personale, scelte imprenditoriali poco lungimiranti ed una certa negligenza degli italiani hanno da tempo portato l’Italia a “danzare pericolosamente sull’orlo del baratro”.

È veramente un peccato vedere il nostro meraviglioso Paese, con tutta la sua arte, la sua storia, le sue bellezze naturali, la sua imprenditorialità, il suo patrimonio enogastronomico un tempo invidiato da tutto il mondo in questa situazione. Qualche timido miglioramento si è recentemente notato ma non è abbastanza. È quindi indispensabile effettuare senza ulteriori indugi quelle riforme strutturali che sono state per troppo tempo rimandate.

Storia della Borsa

Un viaggio alla scoperta della “Storia della Borsa”: ecco la nuova puntata della rubrica curata da Fabrizio Fiorani. Qui di seguito i link per accedere alle precedenti puntate in questo avvincente viaggio fra trading e finanza!

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Andare in barca nel trading e negli investimenti https://www.investire-certificati.it/andare-in-barca-nel-trading-e-negli-investimenti/ Tue, 08 Apr 2025 09:04:16 +0000 https://www.investire-certificati.it/?p=37103 Non parliamo di “trading in barca”, ma di espressioni utilizzate nel gergo dagli operatori. Espressioni come “sono in barca”, “mi sono imbarcato”, “ho preso un transatlantico”, “sto remando” o semplicemente mimare con le braccia il gesto di remare in Borsa hanno sempre sottinteso di aver commesso un errore, talvolta anche di ampie proporzioni. Ma torniamo […]

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Non parliamo di “trading in barca”, ma di espressioni utilizzate nel gergo dagli operatori. Espressioni come “sono in barca”, “mi sono imbarcato”, “ho preso un transatlantico”, “sto remando” o semplicemente mimare con le braccia il gesto di remare in Borsa hanno sempre sottinteso di aver commesso un errore, talvolta anche di ampie proporzioni. Ma torniamo – con Fabrizio Fiorani – alla borsa gridata, cioè a quella che ci piace chiamare come Storia della Borsa.

Le espressioni della borsa: “andare in barca”

Ai tempi della “Borsa gridata” la catena di trasmissione dell’ordine era lunga ed avveniva perlopiù tramite comunicazioni telefoniche quindi qualche incidente di percorso era sempre possibile. Al Banco di Sicilia, dove ho iniziato a lavorare nel lontano 1983, l’iter era solitamente il seguente: l’ordine del cliente veniva raccolto dall’Agenzia che lo comunicava al borsino della Filiale che a sua volta lo trasmetteva telefonicamente a noi operatori di borsa. A questo punto compilavamo un foglietto che veniva consegnato all’agente di cambio per la negoziazione.

L’eseguito procedeva con un percorso esattamente inverso. Una decina di passaggi, dunque, con un iter che, oltre ad allungare i tempi fra il conferimento dell’ordine e la ricezione dell’esito da parte del cliente, presentava rischi dovuti a malintesi.

In Borsa oltretutto era sempre presente un rumore di sottofondo che rendeva difficili le comunicazioni. A tal proposito racconto un aneddoto che rende l’idea della situazione. Una volta telefonai a mia moglie in ufficio e mi rispose una sua collega. Alla mia richiesta di poter parlare con Loredana sentii dire: “un attimo prego, Lory, c’è una persona che chiede di te, fai presto perché credo stia telefonando dalla Stazione Centrale”.

Trader nella borsa alle grida: come ridurre gli errori?

Foto ordine Banco di Sicilia in duplice copia con parte superiore da consegnare all’agente di Cambio

Onde cercare di limitare gli errori noi operatori eravamo soliti porre in essere una serie di accorgimenti.

Per ridurre il disturbo di sottofondo nelle telefonate in Borsa usavamo impugnare la cornetta dello storico Siemens S62 «bigrigio» dal trasmettitore. Quando parlavi sollevavi leggermente le dita mentre quando ascoltavi le serravi onde evitare che il rumore risalisse dal trasmettitore, tramite la cornetta, al ricevitore.

Avevamo inoltre differenziato il colore dei foglietti degli ordini: verdi per le compere, rossi per le vendite. Anche il loro posizionamento era fisso: a sinistra la mazzetta degli acquisti, a destra quella delle vendite. Il tutto al fine di facilitare un riflesso condizionato. Quando sentivi: Comperare (vendere) le sinapsi ti portavano automaticamente a prendere il foglietto verde sulla sinistra (rosso sulla destra).

I prezzi lordi sull’ordine venivano scritti in nero mentre quelli al netto delle commissioni con agente di cambio e cliente in rosso. Un aneddoto. Per avere sempre a portata di mano le due penne e velocizzare il “cambio di colore”, nello scrivere i suddetti importi usavamo congiungere con il nastro adesivo una penna bic nera ad una rossa. C’era chi le univa nello stesso senso e chi capovolte. In quest’ultimo caso però, visto che si lavorava “gomito a gomito”, spesso si correva il rischio di macchiare la giacca del vicino collega. 

Commissioni di trading

Una volta concordata la percentuale di commissione con l’agente di cambio (ad esempio lo 0,5%), si condivideva una tabellina che riportava un importo fisso per “forchetta di prezzo” (esempio: da 980 a 1020, importo 5). La commissione da applicare al cliente invece ci veniva comunicata direttamente dalla Filiale credo sulla base dello stesso metodo ma chiaramente con percentuali nettamente superiori (dall’1% in su). All’esecuzione dell’ordine si provvedeva ad aggiungere (sugli acquisti) ed a sottrarre (sulle vendite) detti importi al prezzo lordo. Il tutto era calcolato “a mente” quindi qualche errore veniale poteva capitare. 

Borsa alle grida
Borsa alle grida – Fabrizio Fiorani – foto del banchetto di borsa dove si può vedere un esempio di come si impugnava la cornetta e, zoomando anche la doppia penna

Altra avvedutezza era quella di ripetere l’ordine facendo la massima attenzione ad ogni particolare. Si scandiva sempre il 6 ed il 7. Ad esempio nel ripetere 167 si comunicava: Centosessantasette, Sei, Sette, per non confonderlo con 177 che ribadivamo con Cento settantasette, Sette, Sette o tette tette come diceva qualche buontempone.

Quando si riceveva un ordine in acquisto limitato tipo a 999 (o in vendita a 1001) chiedevamo conferma del segno dell’operazione spiegando che solitamente il limite di 999 era tipico di un ordine in vendita (1001 di uno in acquisto). Nonostante queste ed altre accortezze era sempre possibile “imbarcarsi” e passare momenti non piacevoli.

Errori in borsa e nel trading

Rammento ancora la mia prima “ansia” legata ad un disguido accadutomi nei primissimi giorni di lavoro. Ricevo una telefonata dalla Filiale di Roma che mi trasmette un grosso ordine con tanto di codice cliente e commissione. Una volta ottenuto l’eseguito dall’agente di cambio lo comunico al borsino di Roma ma, con mia sorpresa, l’operatore mi dice di non essere a conoscenza di quell’ordine. Informo il mio capo e provvediamo a chiamare invano tutte le Filiali. Non sapendo più cosa fare, fortunatamente, ci giunge voce che la Filiale di Roma della BNL stava cercando a chi avesse trasmesso quell’ordine. Comprendiamo l’arcano e tutto si risolse positivamente.

Ricordo tante altre situazioni che non hanno avuto lo stesso esito favorevole. Anzi, nella maggior parte dei casi, la chiusura di una “barca” ha comportato una perdita più o meno ingente. Una raccomandazione era comunque quella di sistemare le posizioni, nei limiti del possibile, rapidamente, onde evitare che le condizioni di mercato peggiorassero ulteriormente la situazione.

Nella foto: il trading di una volta. Blocchetti ordini utilizzati dagli Agenti di Cambio per annotare a matita le negoziazioni effettuate. Un esempio di compravendita di 1.000 Fiat acquistate da Fumagalli e vendute da Belloni al prezzo di 5.000 Lire.

Il fattore tempo nel trading

La tempistica ha sempre giocato un ruolo essenziale. Per questo si richiedeva agli operatori delle Filiali di inviare, appena possibile, un telex con tutte le operazioni effettuate. Il back office le spuntava con la nostra “prima nota” e ci evidenziava le differenze. Sulla base di queste indicazioni si appurava se si trattasse di un semplice errore di battitura o effettivo. In quest’ultimo caso si provvedeva a sistemare il tutto tramite l’utilizzo del “conto errori”.

In casi particolari seguiva un’analisi delle motivazioni che avevano portato all’evento e si provvedeva ad implementare procedure atte ad evitare il ripetersi dell’errore in futuro. Nonostante tutti gli accorgimenti posti in essere però, eliminare la possibilità d’imbarcarsi è stata sempre un’utopia.

Sala Trading - borsa alle grida

Nella foto: trader in azione. Ufficio con abituale impugnatura telefono, nessun PC ma solo calcolatrici a rulli o di carta e tabulati

Nella buona e nella cattiva sorte

Il destino è beffardo ed a volte si diverte nel far seguire anche una minima negligenza da una serie di coincidenze negative che permettono di bypassare tutti i controlli e portate allo svarione. Anche nel caso precedentemente citato è incredibile come un contatto telefonico (o la composizione di un numero sbagliato) abbia fatto giungere la telefonata ad un altro operatore di Borsa (se avesse risposto una pizzeria non sarebbe successo nulla), che era solito ricevere chiamate dal borsino di Roma, che utilizzava codici clienti simili ai nostri e che ha messo in contatto due operatori inesperti (se avesse risposto il mio capo, sentendo una voce nuova, gli sarebbe sicuramente sorto un dubbio).

Con l’implementazione di procedure automatiche di trasmissione degli ordini di borsa, il passaggio alla borsa telematica e la diffusione dell’internet banking quel mondo è praticamente scomparso. Ora tutto avviene con la massima rapidità e precisione, la maggior parte dei clienti agisce in autonomia anche nella gestione dei suoi errori e le espressioni: “sono in barca”, “mi sono imbarcato”, “sto remando” ecc. stanno andando in disuso.
E se capita di aver notizia di errori, solitamente sono commessi da grandi operatori ed appartengono alla categoria denominata “Fat finger”.

Storia della Borsa

Una viaggio alla scoperta della “Storia della Borsa”. Una rubrica curata da Fabrizio Fiorani. Qui di seguito i link per accedere alle precedenti puntate in questo avvincente viaggio fra trading e finanza!

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Analista finanziario di borsa https://www.investire-certificati.it/analista-finanziario-di-borsa/ Wed, 05 Jun 2024 07:30:00 +0000 https://www.investire-certificati.it/?p=33647 Come si diventa un analista finanziario in borsa? Ce lo racconta Fabrizio Fiorani, trader con quarant’anni di esperienza nel settore in questa nuova puntata di Storia di Borsa. Come si diventa un analista finanziario? Si dice che in Borsa occorre essere camaleonti per assecondare i mercati. Il detto vale anche nell’attività lavorativa che va adattata […]

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Come si diventa un analista finanziario in borsa? Ce lo racconta Fabrizio Fiorani, trader con quarant’anni di esperienza nel settore in questa nuova puntata di Storia di Borsa.

Come si diventa un analista finanziario?

Si dice che in Borsa occorre essere camaleonti per assecondare i mercati. Il detto vale anche nell’attività lavorativa che va adattata alle mutate condizioni dettate in particolare dallo sviluppo tecnologico. Nella mia lunga esperienza mi sono più volte dovuto “reinventare” per rimanere all’interno del fantastico mondo della finanza. Nato come Operatore titoli nel 1983, dopo qualche anno, alcune circostanze mi indussero a diventare Analista finanziario.

Dalla Borsa alle grida, alle SIM passando per il “gabbiotto”

Quando iniziai a lavorare al Banco di Sicilia, nel parterre di Piazza Affari, l’Istituto disponeva di due banchetti in grado di ospitare 8 operatori. Gli ordini erano raccolti telefonicamente dalle Filiali e trasmessi manualmente ad alcuni fra i principali Agenti di Cambio: Albertini, Aletti, Belloni, Boffa, Fumagalli, Giubergia, Leonzio, Matturri, Milla, Rezzaghi, Ventura e Zaffaroni. Diversificare fra intermediari con elevata professionalità ed affidabilità era opportuno, anche per limitare il “rischio controparte” tutt’altro che trascurabile ai tempi della “liquidazione a termine” e considerato i livelli di capitalizzazione degli Agenti di Cambio.

Borsa alle grida
Borsa alle grida – Fabrizio Fiorani

Nel 1987, per consentire il restauro di Palazzo Mezzanotte, le negoziazioni furono trasferite nel “gabbiotto”, un edificio prefabbricato collocato al centro di Piazza Affari. Alla Banca Commerciale Italiana ed al Credito Italiano furono assegnati due banchetti mentre a tutti gli altri istituti di credito, compreso il nostro, solo uno. La conseguente riduzione degli operatori rese necessario automatizzare il processo di trasmissione degli ordini.

Ai tempi il Banco di Sicilia deteneva una partecipazione in Euramerica della famiglia Nattino. Quest’ultima, tramite Finnat, offriva un efficiente servizio di trasmissione ordini e fu scelta dal nostro Istituto per automatizzare il processo. La collaborazione continuò anche dopo l’approvazione della legge sulle SIM del 1991 quando nacque Finnat Euramerica SIM S.p.A. con il Banco di Sicilia azionista al 49% del capitale.

Formazione all’attività di analista finanziario

Morale, dal 1987 mi ritrovai con più tempo libero da trascorrere in Ufficio e la Direzione mi suggerì di dedicarlo all’analisi delle società quotate. Oltre a supportare l’operatività in conto proprio del Banco (anche in relazione alla partecipazione ai consorzi di garanzia e collocamento azionari) la diffusione degli studi alle Filiali sarebbe stata un utile supporto agli Operatori titoli ed ai Consulenti finanziari nei rapporti con la clientela. 

L’incarico, pur impegnativo, mi entusiasmava e lo sentivo alla mia portata. Del resto ero diplomato in ragioneria e possedevo una grande confidenza con stati patrimoniali, conti economici, ratei, risconti, sopravvenienze, insussistenze e tutte le scritture contabili in partita doppia rigorosamente su “mastrini”. Inoltre nel primo anno di economia e commercio all’università Bocconi le mie materie preferite erano state economia aziendale, microeconomia e macroeconomia. In particolare analizzare sui grafici gli spostamenti della domanda e dell’offerta di beni rispetto a diversi accadimenti economici e la determinazione dei nuovi equilibri nei prezzi aveva magnetizzato la mia attenzione.

Oltre a ciò, fin dal primo giorno di lavoro alle “grida” mi ero prodigato nel cercare di capire quali fossero le cause dei movimenti delle quotazioni dei titoli ed il valore ipotetico di un’azienda. Acquistavo personalmente i pochi libri che trattavano la materia e che ancora oggi conservo: Come si legge il Bilancio (Gianni e Giuseppe Lo Martire – Buffetti Editore 1986), Come si calcola il valore di un’azienda (Adriana Carabellese – De Vecchi Editore 1986), La valutazione delle aziende (Luigi Guatri – Giuffrè Editore 1987), Il Bilancio consolidato di gruppo (Alberto Crusca – Pirola Editore 1987), Analisi Tecnica di Borsa (Virgilio De Giovanni, Marco Mottana – Ipsoa 1988), Analisi tecnica dei mercati finanziari (Martin J. Pring – McGraw-Hill 1989), Analisi tecnica dei mercati finanziari (A. Fornasini , A. Bertotti – Etas 1989).

Libro luigi Guatri valutazione delle aziende

Corsi per diventare analista finanziario

Inoltre il Banco, per aumentare la mia professionalità o semplicemente per allontanarmi dall’ufficio, mi aveva fatto frequentare diversi dei rari e costosissimi corsi da analista finanziario: “valutazione titoli azionari” (SDA Bocconi – maggio/giugno 1987), “seminario di analisi tecnica” (Borsa Report – febbraio 1988), “analisi tecnica dei mercati” (Analysis S.A. – giugno 1988), “corso per analisti finanziari” (IFAF Consedifin – da maggio ad ottobre 1988), “incontri con le società” (Assobat – aprile 1989), “valutazione azioni bancarie ed assicurative” (SDA Bocconi – settembre 1989), “analisi tecnica, fondamentale e gestione dei portafogli” (Banco di Sicilia – 1989), “il bilancio consolidato” (SDA Bocconi – gennaio 1990).

Consapevole della grande opportunità, da parte mia l’impegno era stato massimo. Alcuni di questi corsi si tenevano anche nel tardo pomeriggio / sera ed io sempre munito di registratore, riascoltavo le lezioni e trascrivevo dettagliatamente gli appunti che ancora oggi custodisco in un manoscritto di 600 pagine che racchiude gran parte del sapere finanziario di allora.

libri di finanza e trading

Grazie alle conoscenze acquisite in materia ero diventato, fin dal suo anno di costituzione nel 1988, socio S.I.A.T. (Società Italiana Analisi Tecnica) e, prima socio “aggregato” e poi socio “ordinario” A.I.A.F. (Associazione Italiana per l’Analisi Finanziaria). 

Quest’ultima aveva in quegli anni iniziato ad organizzare incontri con le società quotate, una novità assoluta riservata ai propri iscritti e di estremo interesse. Ai tempi le informazioni comunicate dalle aziende e riportate dai giornali economici erano tardive, sporadiche e generalmente si limitavano ai bilanci annuali. Partecipando agli incontri con il management della società e con l’azionista di riferimento avevi la possibilità di entrare in contatto con l’economia reale, di farti un’idea sulle problematiche esistenti e soprattutto sulle prospettive future del business. Ti sentivi un privilegiato ed in molti casi lo eri perché l’obbligo in capo alle società di comunicare informazioni potenzialmente “price sensitive” al mercato non era così stringente come l’attuale. Partecipavo a tutti gli incontri ed utilizzavo le informazioni ricevute ed il materiale distribuito per elaborare studi sulle società.

Ecco di seguito i passaggi di studio nella mia attività di analista finanziario in Borsa.

Analisi qualitativa

La prima parte del lavoro la dedicavo all’analisi qualitativa dell’azienda. Occorreva avere ben chiari i punti di forza e di debolezza, la qualità del Management e dei prodotti. Ma anche il livello tecnologico, la composizione dei clienti e dei fornitori e l’immagine che la società aveva sul mercato. Indispensabile anche un’analisi sulle prospettive di crescita del mercato nel quale operava ed il posizionamento competitivo che deteneva nel settore. Solo grazie a questa approfondita analisi era possibile formulare stime sulla crescita futura di fatturati ed utili.

Analisi reddituale

Come procedeva l’analisi delle società? Dopo l’analisi qualitativa passavo alla parte quantitativa. Se disponibile, iniziavo dal bilancio consolidato che da qualche anno veniva redatto dalle società e diventato obbligatorio solo dal 1991. Effettuavo la riclassificazione di stato patrimoniale e conto economico per rendere possibile l’immissione dei dati in un “foglio framework” che avevo impostato per calcolare automaticamente tutti gli indici di bilancio. 

Utilizzavo la “formula Modigliani Miller” per mettere in evidenza le componenti che contribuivano alla redditività dell’azienda. L’equazione di bilancio con la Redditività dei mezzi propri (ROE) quale funzione della redditività della gestione caratteristica (ROI), della “leva finanziaria”, della gestione straordinaria e delle tasse. Analizzando una serie storica dei dati cercavo di comprendere l’andamento degli stessi nel tempo e le motivazioni che avevano determinato eventuali variazioni del ROE.

Ad esempio, a parità di altre condizioni, un aumento del costo dell’indebitamento aveva ridotto il contributo generato dalla leva finanziaria e peggiorato la redditività. Poi comparavo questi valori con quelli di altre aziende del settore e con altri indici di investimenti alternativi quali il rendimento dei titoli di stato. Ecco nell’immagine seguente la formula Modigliani Miller.

formula modigliani miller

Lo studio dell’azienda

Successivamente scendevo in profondità nell’analisi delle determinanti della redditività della gestione caratteristica (ROI) attraverso l’elaborazione di una trentina di indici. Anche in questo, caso analizzando una serie storica dei dati, cercavo di comprendere nel dettaglio i fattori che avevano causato eventuali variazioni di redditività.

Ad esempio, a parità di altre condizioni, un aumento del grado di automazione, aveva migliorato la produttività dei dipendenti, ridotto l’assorbimento per spese del personale, aumentato la redditività delle vendite (ROS) e quindi la redditività della gestione caratteristica (ROI). Oppure un aumento della concessione di dilazioni di pagamento ai clienti (che avrebbe potuto denotare anche un sintomo di difficoltà nella vendita dei prodotti) aveva aumentato le liquidità differite, peggiorato l’efficienza della gestione delle attività correnti, fatto crescere gli investimenti effettuati per ogni lira di fatturato e quindi ridotto la redditività della gestione caratteristica (ROI).

ROI investimenti

Analisi finanziaria

Lo stesso programma elaborava una serie di indici utili a valutare lo stato di salute dell’impresa dal punto di vista finanziario. I rapporti fra i diversi valori dell’attivo e del passivo dello stato patrimoniale fornivano agevolmente un’indicazione sull’equilibrio della struttura patrimoniale della società. Più complessa invece risultava, se non fornito, l’elaborazione del prospetto sui flussi di cassa.

Dallo stato patrimoniale riclassificato calcolavo tutte le variazioni delle voci da un anno con l’altro e le allocavo in un apposito prospetto. Successivamente, analizzando il conto economico, effettuavo tutte le rettifiche per neutralizzare le componenti di carattere fiscale, straordinario, di politica finanziaria e di bilancio. Un lavoro complesso ma utile per valutare la capacità dell’impresa di rispondere in modo adeguato agli impegni assunti e di supportare lo sviluppo futuro.

Valutazione dell’ azienda

La parte più delicata era rappresentata dalla valutazione della società. Usavo diversi metodi, da quello patrimoniale del Price / Book Value, a quello finanziario del Dividend Discount Model per finire a quello reddituale del Price / Earning. Ogni metodo aveva le sue criticità. Nel primo caso, oltre alle difficoltà nel rettificare il patrimonio netto per azione (si pensi a beni materiali, immateriali, titoli, partecipazioni) ci si limitava a fotografare l’azienda in quel momento senza considerare gli sviluppi futuri. Questi venivano ipotizzati nel DDM ma le stime (tasso atteso di crescita dei dividendi, tasso di attualizzazione giudicato soddisfacente per l’investimento comprensivo del premio per il rischio) erano soggette ad elevata variabilità e condizionavano in misura importante il risultato finale. Anche nel P/E non era semplice stimare l’utile normalizzato prospettico e confrontare il rapporto con quello di società simili appartenenti allo stesso settore. In sintesi, cercavo di utilizzare metodi misti ponderando i pesi a seconda delle caratteristiche dell’azienda da valutare (dimensione, livello di impiantistica, società di persone ecc.) e del settore di appartenenza.

Analisi tecnica

Nella mia analisi finanziaria c’era spazio anche per l’analisi tecnica. Dal 1985 venne fondata ADB (Analisi Dati Borsa), una delle prime società in Italia ad offrire servizi telematici che comprendevano anche grafici di indici. Noi fummo fra i primi clienti della società e potevo quindi corredare l’analisi con il grafico dell’andamento del titolo di medio / lungo periodo con annesse medie mobili, linee di tendenza, supporti, resistenze ed eventuali configurazioni. Ai tempi l’analisi tecnica in Italia era pressoché sconosciuta e nessun giornale riportava grafici o commenti.

Solo nel 1988 Il Sole 24 Ore iniziò a pubblicare la domenica un “piccolo” grafico dell’indice Comit corredato da un breve trafiletto con indicazioni anche operative a cura del socio S.I.A.T. (ed uno dei miei primi “formatori”) Luigi Ravasi. Inviare quegli studi e illustrare certe configurazioni (testa e spalle, triangoli, flag ecc.) spesso suscitava l’ilarità di consulenti ed operatori che a volte mi appellavano bonariamente con il titolo di “apprendista stregone”. Io invece ero fermamente convinto che l’analisi fondamentale fosse utile per selezionare titoli con buone prospettive di crescita non ancora riflesse nelle quotazioni ma che, per il timing dell’acquisto, sarebbe stato opportuno avvalersi dell’analisi tecnica.

Conclusioni ed invio dello studio

A conclusione dello studio effettuavo un commento con indicazioni operative di medio periodo. Fortunatamente disponevo di uno dei primi programmi di videoscrittura ma, non esistendo ancora la mail, per inviare lo studio occorreva: fotocopiare, assemblare, imbustare, etichettare e inviare per posta interna alle Filiali che lo avrebbero ricevuto solo dopo qualche giorno. Il rischio era che, nei tempi tecnici di spedizione, accadessero fatti straordinari. Fortunatamente successe solo una volta relativamente alla Stet. Correva l’anno 1992 ed avevo appena inviato un’analisi positiva sul titolo quando la società annunciò l’acquisizione della Finsiel (Finanziaria Generale per l’Informatica) dalla sua stessa capogruppo (IRI) per un importo intorno ai 700 miliardi. La cifra fu giudicata eccessiva e finalizzata a far fronte alle esigenze finanziarie dell’Iri, il mercato non la prese bene e le azioni crollarono in borsa. In questo caso il ritardo temporale giocò a favore anche se non ci feci una bella figura. Successivamente le quotazioni si ripresero e chi mi diede fiducia comprò a prezzi scontati.

Quella di analista finanziario fu senz’altro un’esperienza impegnativa ma comunque estremamente positiva che si concluse nel 1994 quando, sempre per cause di forza maggiore, fui costretto a trasferirmi alla SIM Banco Napoli & Fumagalli Soldan. Anche in questa occasione mi “reinventai” trader e intrapresi un’attività pazzesca di scalping sul mercato azionario che mi riservò eccezionali soddisfazioni per quasi un decennio. Ma questa è un’altra storia…

Storia della Borsa

“Storia della Borsa” è una rubrica curata da Fabrizio Fiorani. Qui di seguito i link per accedere alle precedenti puntate in questo avvincente viaggio fra trading e finanza!

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Mediobanca, Storie di Borsa! https://www.investire-certificati.it/mediobanca-storie-di-borsa/ Sat, 18 May 2024 08:20:00 +0000 https://www.investire-certificati.it/?p=33390 Storie, aneddoti di Borsa d’altri tempi, ripartendo da Mediobanca e dal Banco di Sicilia. Con Fabrizio Fiorani ripercorriamo gli anni Ottanta in Borsa Italiana e il ruolo di Mediobanca in questo scenario. Mediobanca: un ruolo chiave su Borsa Italiana Quando nel 1983 iniziai a lavorare in Borsa Mediobanca era la protagonista indiscussa della finanza italiana. […]

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Storie, aneddoti di Borsa d’altri tempi, ripartendo da Mediobanca e dal Banco di Sicilia. Con Fabrizio Fiorani ripercorriamo gli anni Ottanta in Borsa Italiana e il ruolo di Mediobanca in questo scenario.

Mediobanca: un ruolo chiave su Borsa Italiana

Quando nel 1983 iniziai a lavorare in Borsa Mediobanca era la protagonista indiscussa della finanza italiana. Dalla sua nascita nel 1946 la banca d’affari guidata da Enrico Cuccia era stata al centro di tutte le vicende che avevano interessato il grande capitalismo del Belpaese. Anche come conseguenza di questo impegno, agli inizi degli anni 80, deteneva azioni di tutte le più grandi società come FIAT, Pirelli, Generali, Fondiaria, Italcementi, Olivetti, Mondadori, Caffaro, Montedison, Snia-Bpd, Burgo e Gemina solo per citare le più importanti. Tanto è vero che all’epoca sì era soliti dire che acquistare il titolo equivaleva ad investire sulla Borsa italiana. Dato che non esistevano strumenti che permettevano di replicare l’intero mercato (come gli odierni ETF per intenderci), questa caratteristica era apprezzata dagli investitori.

Aumenti di capitale e collocamenti azionari

La maggior parte delle società italiane, quando avevano problemi di natura finanziaria si rivolgeva a Mediobanca che si adoperava per trovare una soluzione che spesso sfociava in aumenti di capitale (con emissione di azioni, obbligazioni convertibili, warrant) o collocamenti obbligazionari. Alcuni “maligni” asserivano che la banca d’affari, per non perdere il cliente, era solita somministrare la cura necessaria a salvare il paziente da morte certa ma non in grado di guarirlo completamente.

Banco di Sicilia

Ai tempi lavoravo al Banco di Sicilia che era un’importante banca a livello nazionale con un grande passato alle spalle: uno dei più antichi istituti di credito in Italia (1849 anno di fondazione), istituto di emissione fino al 1926 e successivamente istituto di credito di diritto pubblico. Chiaramente il nostro Istituto era sempre invitato a partecipare ai consorzi di garanzia e collocamento organizzati da “via Filodrammatici”.

Servizio Borsa Titoli

Io facevo parte dell’Amministrazione Centrale, Servizio Borsa Titoli, ufficio Negoziazione che era composto da una dozzina di operatori, tutti con una grandissima esperienza finanziaria. Fra questi c’era anche il Capo Area finanza Dottor Nicastro che di anni sui mercati ne aveva già trascorsi 40. Non ricordo esattamente perché, ma mi incaricarono di seguire le pratiche inerenti ai consorzi. La cosa mi rendeva orgoglioso ma allo stesso tempo era un compito estremamente impegnativo.

borsa

L’iter era sempre identico. Il Dottor Notarbartolo del Servizio Finanziario di Mediobanca anticipava telefonicamente l’operazione al nostro Capo, il quale mi avvisava dell’imminente arrivo del telex. Io mi precipitavo a controllare che la telescrivente fosse perfettamente funzionante e nel giro di pochi minuti iniziava a stampare un foglio di una lunghezza mediamente compresa fra uno e due metri.

Il messaggio era estremamente riservato e conteneva la descrizione dettagliata dell’operazione, le tempistiche, le motivazioni, alcuni dati sulla società, il compenso a noi riconosciuto per la garanzia offerta e quello per l’attività di collocamento, la quota percentuale che eravamo invitati a garantire e le modalità da seguire in caso di accollo.

Storia della Borsa: le procedure

Le nostre procedure, per un tale impegno, richiedevano l’autorizzazione del Direttore Generale del Banco. Pertanto, occorreva inviargli una relazione che illustrasse l’operazione, ne valutasse gli aspetti positivi e negativi ed una nostra proposta di adesione.

I tempi erano solitamente ristretti quindi mi attivavo immediatamente. In primo luogo, valutavo le parità teoriche. Partendo dalle quotazioni dell’azione “cum” calcolavo il valore dell’azione “ex” ed il valore dei diritti. All’emissione di azioni a volte si accompagnavano anche warrant e/o obbligazioni convertibili, quindi, non era sempre facilissimo determinarne i valori, ma era comunque necessario. Un diritto consistente sarebbe stato infatti più cautelativo rispetto ad un diritto irrisorio.

Il valore del titolo

In secondo luogo occorreva stimare il valore del titolo “ex ante” ed “ex post”. Questa era la parte più impegnativa se consideriamo i mezzi di allora. Le comunicazioni delle Società non avevano la frequenza attuale e non esisteva internet dove reperire i dati. Fortunatamente noi eravamo soliti fotocopiare tutte le notizie sulle società pubblicate dai giornali e le raccoglievamo in apposite “carpette” intestate alle singole Società. Nei casi più fortunati riuscivo a recuperare un bilancio o una presentazione reperita in incontri con le Società che l’A.I.A.F. (Associazione Italiana per l’Analisti Finanziaria) aveva iniziato ad organizzare ed alle quali ero invitato come socio.

Dal 1985, dopo la costituzione di “ADB” (Analisi Dati Borsa), che offriva servizi telematici che comprendevano anche grafici, era invece più semplice effettuare un’analisi grafica del titolo per avere un’idea sull’andamento delle quotazioni.

Altro dato era infine rappresentato dalle azioni detenute dai clienti del nostro Istituto in quanto le eventuali loro adesioni, oltre all’introito derivante dalla commissione di collocamento, sarebbero state decurtate dalla nostra garanzia.

Analisi delle operazioni di Borsa

Illustravo quindi il tutto al nostro Capo Area Finanza che dall’alto della sua quarantennale esperienza non aveva difficoltà a valutare i rischi di accollo e le possibili conseguenze. Una cosa era certa: non si poteva “declinare” l’invito. In passato era stato fatto un tentativo ma la risposta era stata perentoria: “un eventuale diniego avrebbe potuto comportare l’esclusione da future operazioni anche di obbligazioni corporate che risultavano essere molto redditizie e graditissime alla clientela”.

Nei casi “a rischio accollo” era tuttavia possibile chiedere una riduzione della quota a noi proposta anche perché sicuramente la somma delle percentuali attribuite da “Piazzetta Cuccia” ai partecipanti era nettamente superiore al 100% (la mia idea è di almeno il 200%).

Una volta indicatami dal mio Condirettore Centrale la percentuale da proporre al Direttore Generale tiravo un sospiro di sollievo perché il lavoro era pressoché terminato. Mancavano solo le seguenti due frasi standard a conclusione del telex da inviare alla Direzione Generale: “Tutto ciò premesso si sarebbe del subordinato parere di aderire all’operazione in oggetto con una percentuale pari a X%. Nell’attesa delle superiori determinazioni si coglie l’occasione per porgere distinti saluti.”

Ricevuta l’autorizzazione non restava che inoltrarla a Mediobanca e attendere la nostra quota effettiva di partecipazione. Quest’ultima era solitamente inferiore a quella indicata inizialmente in particolare per quelle operazioni che non presentavano criticità rilevanti.

Aumenti di capitale… ma non solo

Un lavoro estremamente impegnativo, basti pensare che nel solo 1986 le operazioni di aumento di capitale sono state un centinaio. Moltissime hanno registrato un esito positivo. Al tempo stesso è capitato che il consorzio di garanzia in alcune sia dovuto intervenire. In questi casi era solitamente la Spafid (fiduciaria del Gruppo di Piazzetta Cuccia) che si occupava di gestire la vendita delle azioni inoptate.

Se avessi voluto invece evitare la procedura delle “vendite collettive” sarebbe bastata acquistare ad una cifra irrisoria un corretto numero di diritti ed aderire all’aumento di capitale. Le nuove azioni sottoscritte sarebbero state scalate dalla nostra quota di competenza e avrebbero potuto essere gestite autonomamente.

Storia della Borsa

“Storia della Borsa” vuole essere un viaggio alla scoperta dei mercati finanziari. La cura il trader Fabrizio Fiorani. Di seguito i link per accedere alle precedenti puntate in questo avvincente viaggio!

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La Borsa ad Agosto https://www.investire-certificati.it/la-borsa-ad-agosto/ Sun, 16 Jul 2023 12:56:42 +0000 https://www.investire-certificati.it/?p=28777 I mercati non dormono mai e la borsa non va in ferie nemmeno ad Agosto. Insomma, in borsa, anche in estate può non essere clima di vacanze. Ripercorriamo le vicende legate all’estate in borsa e più nel dettaglio al mese di agosto 1990 e 1991, con i racconti di borsa di Fabrizio Fiorani. La Borsa […]

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I mercati non dormono mai e la borsa non va in ferie nemmeno ad Agosto. Insomma, in borsa, anche in estate può non essere clima di vacanze. Ripercorriamo le vicende legate all’estate in borsa e più nel dettaglio al mese di agosto 1990 e 1991, con i racconti di borsa di Fabrizio Fiorani.

La Borsa è aperta anche ad Agosto…

Verrebbe da dire: “Agosto, Borsa mia non ti conosco”. Ho sempre considerato agosto il miglior mese dell’anno per lavorare a Milano. Fino a qualche decennio fa il caldo era generalmente sopportabile, il traffico scompariva, i parcheggi diventavano incustoditi e potevo utilizzare l’auto anziché “lo sposta-poveri”, ossia la metropolitana, per raggiungere l’ufficio vicino alla borsa di Piazza Affari con un notevole risparmio di tempo.

Ai tempi della Borsa Gridata in agosto anche le Corbeille apparivano meno affollate rispetto agli altri mesi dell’anno. Gli operatori di Borsa più “anziani” erano soliti andare in ferie ed affidare i loro incarichi a noi “giovani di una volta” che avevamo una grande opportunità di crescita professionale.

Investire in borsa ad Agosto

L’idea era quella di un mese con attività ridotta, ma non è sempre stato così. Spesso in quel mese si sono registrati avvenimenti che hanno provocato importanti oscillazioni di mercato. In particolare, ricordo la “doppietta” agosto 1990 e 1991 oltretutto intervallata da un periodo non proprio tranquillo.

Il 2 agosto 1990 ci pensò infatti Saddam Hussein a movimentare il mercato con l’invasione del Kuwait. Quella mattina ci svegliammo con la notizia che 100.000 uomini e 300 carri armati dell’esercito iracheno avevano invaso l’Emirato vincendone in poche ore la resistenza. La notizia sorprese i mercati. L’indice Comit in quella seduta perse circa il 3%. Si temeva la forza dell’esercito iracheno, che al tempo si diceva essere composto da un milione di uomini ben addestrati ed equipaggiati.

La reazione di una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti fu immediata e decretò l’inizio di un lungo periodo di incertezza che causò all’indice Comit una perdita del 14% a fine agosto e del 32% al giorno precedente l’inizio dell’operazione “Desert Storm” avviata il 17 gennaio 1991. Un agosto in borsa decisamente movimentato.

Guerra Kuwait

Agosto, volatilità in borsa

Fin dalle primissime ore di quella mattina, eravamo rimasti incollati alle TV che riportavano la cronaca degli attacchi aerei da parte della coalizione in Iraq e Kuwait trasmessa per la prima volta in diretta dalla CNN. Uno spettacolo terrificante con i cieli che si illuminavano di verde per effetto dei bombardamenti della coalizione e dei traccianti della contraerea irachena.  

Pronti per un crollo in borsa? Niente affatto. Scioccato da quelle immagini mi affrettai a raggiungere la Borsa con l’idea che avrei assistito ad una giornata negativa. Con mia sorpresa invece, quella seduta mise a segno un rialzo del 4,7%. Quel segno positivo fu giustificato dall’ipotesi di una rapida conclusione del conflitto. Era infatti risultata evidente la netta superiorità delle forze militari alleate rispetto a quelle irachene.

Il 26 febbraio le truppe fedeli a Saddam si ritirarono dal Kuwait ed il 28 ne venne dichiarata la liberazione e la fine della guerra del golfo. Durante il conflitto l’indice della Borsa Italiana, l’indice di borsa Comit mise a segno un recupero del 15,75% ma il bilancio dall’inizio dell’invasione del Kuwait rimase comunque negativo del 20%. Dopo variazioni così ampie il mercato si concesse una pausa di sei mesi, durante la quale oscillò lateralmente in un ristretto range. 

Storie di Borsa

Si arrivò a Ferragosto, con la speranza di trascorrere ben quattro giorni di meritato riposo. Purtroppo, appena il tempo di riporre il barbecue e smaltire i bagordi, quando domenica 18 agosto giunsero notizie di un colpo di stato in Unione Sovietica.

borsa

Un fatto grave ed inatteso, che costrinse molti operatori e gestori a rientrare precipitosamente dalle ferie, per assistere alla debacle del mercato che lunedì 19 agosto 1991 perse il 7%. Nei giorni successivi, nonostante il susseguirsi di notizie confuse provenienti dall’Unione Sovietica, la borsa mise a segno una serie di rialzi come ad anticipare una favorevole soluzione della situazione.

Quando il 22 Agosto fu appurato il fallimento del colpo di Stato e Gorbaciov rientrò a Mosca, la Borsa concluse la fase di recupero portandosi a circa l’1% dai livelli precedenti al golpe. Gli operatori rientrati dalle ferie poterono raggiungere nuovamente parenti ed amici nei luoghi di villeggiatura.

E fu così che, anche quell’agosto, ci riservò un’emozione breve ma intensa e insegnò a operatori e gestori di preferire ferie “on the road” o comunque in luoghi lontani dall’ufficio. Sicuramente un agosto in borsa senza lasciare recapiti telefonici (allora i telefoni cellulari erano ancora utilizzati da pochissime persone e nonostante questo si viveva alla grande).

Insomma, la Borsa ad agosto non sempre è sinonimo di vacanze… Buon mese di agosto e buone vacanze a tutti i lettori del sito e agli investitori!

Storia della Borsa

“Storia della Borsa” è una rubrica a cura di Fabrizio Fiorani. Di seguito i link per accedere alle precedenti puntate.

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Speculazione e Bolle in borsa https://www.investire-certificati.it/speculazione-e-bolle-in-borsa/ Fri, 17 Feb 2023 21:09:00 +0000 https://www.investire-certificati.it/?p=27490 Il confine fra speculazione in borsa e bolla speculativa è spesso labile. In questo articolo Fabrizio Fiorani ripercorre il tentativo di scalata dell’argento da parte dei fratelli Hunt, ma anche la speculazione sulla soia di Raul Gardini. Focus anche su eventi più recenti, con i casi Gamestop e la corsa sfrenata del prezzo del gas […]

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Il confine fra speculazione in borsa e bolla speculativa è spesso labile. In questo articolo Fabrizio Fiorani ripercorre il tentativo di scalata dell’argento da parte dei fratelli Hunt, ma anche la speculazione sulla soia di Raul Gardini. Focus anche su eventi più recenti, con i casi Gamestop e la corsa sfrenata del prezzo del gas nell’estate 2022. Solitamente queste fiammate dei prezzi si sono concluse con l’intervento del regolatore ed una frenata dei prezzi. Ecco l’analisi di questi casi di speculazioni (e bolle) in borsa.

La salita del prezzo del gas (2022)

Nell’Agosto 2022 abbiamo toccato l’apice di una grave crisi energetica con le quotazioni del Gas al TTF (Title Transfer Facility) di Amsterdam che avevano superato quota 330. Alla base del rialzo i problemi geopolitici che ne limitavano l’offerta, una domanda elevata dei paesi Europei per fare fronte all’inverno ma anche una componente speculativa. “Lo ben so” che il termine speculazione non ha una connotazione negativa. È sinonimo di osservare, guardare avanti, ma in alcuni casi può contribuire ad alimentare fenomeni distorsivi e provocare gravi danni a famiglie ed imprese.

Sul finire di Agosto Ursula von der Leyen annunciò un’imminente riforma del mercato dell’energia. Da quel momento è iniziata una discesa dei corsi del gas fino agli attuali livelli intorno a 55. Il calo è stato attribuito a diversi fattori. Le scorte che avevano superato il 90% della capacità di stoccaggio, un inverno con temperature miti e la riduzione dei consumi da parte di famiglie ed imprese. La bolla speculativa si è sgonfiata.

A me piace pensare che a livello psicologico potrebbe aver influito anche la prospettiva del provvedimento sul tetto al prezzo del gas approvato dall’UE nel dicembre 2022 ed entrato in vigore il 15 febbraio di quest’anno. In passato si sono verificati altri interventi del regolatore volti a normalizzare una bolla speculativa diventata esplosiva.

I fratelli Hunt: speculazione sull’argento

previsioni argento

Siamo negli anni Settanta e i fratelli texani Hunt, al fine di cautelarsi dall’inflazione, iniziano ad acquistare ingenti quantità d’argento. Nel 1980, in seguito al rastrellamento di consistenti quantitativi di contratti futures, i fratelli arrivano a controllare una quantità pari a circa la metà dell’argento disponibile nel mondo per pronta consegna. 

Tale situazione, unitamente agli acquisti da parte di speculatori che intendono sfruttare il rialzo, fanno schizzare le quotazioni rischiando di mettere in crisi i grandi operatori che avevano venduto allo scoperto. A quel punto il Comex introduce una norma per regolarizzare la situazione che aumenta i margini richiesti sulle posizioni a leva. I fratelli Hunt e gli speculatori più fragili sono costretti a chiudere o ridurre le posizioni ed il prezzo inizia a scendere fino al “Silver Thursday” del 27 marzo 1980, quando il prezzo dell’argento crolla del 50% in poche ore. I fratelli Hunt e altri operatori subiscono grosse perdite ma la situazione si ristabilisce ed il prezzo dell’argento torna su livelli “normali”.

Speculazione sulla soia

Siamo nel 1989, Raul Gardini è alla guida del gruppo Ferruzzi che nel mondo è il terzo per dimensioni nella lavorazione dei semi di soia.  Prevedendo nei mesi a venire un rialzo dei prezzi, in primavera alcune filiali del gruppo cominciano ad acquistare ingenti quantitativi di contratti a termine sul Chicago Board of Trade. Altri importanti operatori americani, vedendo i prezzi lievitare ed avendo una visione opposta sull’evoluzione dei prezzi, aprono grosse operazioni allo scoperto. In prossimità della scadenza tecnica del 20 luglio ci si rende conto che le società del gruppo Ferruzzi possiedono contratti futures per un totale di 23 milioni di bushel di soia (quasi il doppio della quantità disponibile nei magazzini autorizzati) e che sono intenzionati ad esigere la consegna della merce. Per gli scopertisti si prospettano perdite enormi. La bolla speculativa non piace al regolatore, che interviene.

L’11 luglio il CBOT emette un ordine d’emergenza in base al quale tutti gli operatori con posizioni superiori ai tre milioni di bushel in acquisto o in vendita hanno tre giorni di tempo per ridurle ad un solo milione. Il gruppo italiano è costretto a vendere, i prezzi della soia crollano ed il gruppo subisce ingenti perdite.

Gamestop: fra speculazione e bolla in borsa

Un caso di speculazione in borsa in tempi recenti che ha conquistato le prime pagine dei giornali è stato quello di Gamestop. Ripercorriamo il nastro su queste vicende.

GameStop Bolla Speculativa in borsa

Siamo nel 2020 e GameStop, società che vende videogiochi tramite negozi fisici, naviga in cattive acque con bilanci in perdita e prospettive incerte. Diversi Hedge Fund, fra i quali Melvin Capital, hanno aperto posizioni corte su circa il 140% del flottante. Keith Gill, un giovane YouTuber conosciuto come “Roaring Kitty”, da tempo ne parla sui social ipotizzando una rivalutazione delle azioni GameStop. La voce viene amplificata su WallStreetBets (forum dedicato agli investimenti). Qui lo stesso Keith Gill e tantissimi altri giovani trader intervengono a supporto della società a cui sono affezionati. La speculazione in borsa continua e si intensificano gli acquisti sul titolo tramite la piattaforma Robinhood che offre gratuitamente un’ampia operatività di trading. Le azioni salgono anche spinte dallo short-squeeze che costringe i grandi investitori a ricoprirsi per arginare le perdite. Ryan Cohen, un giovane imprenditore co-fondatore della società Chewy ed investitore acquista il 13% di GameStop, entra a far parte del CDA e lo esorta a sviluppare l’azienda. Elon Musk twitta “GameStonk!!” e linka WallStreetBets attirando l’attenzione dei suoi follower sulla catena.

La bolla dei prezzi di Gamestop

Una miscela esplosiva che fa schizzare le quotazioni di GameStop nel mese di gennaio 2021 da circa 17 fino ad un massimo di 483 $. La speculazione in borsa continua: appare come la vittoria di Davide contro Golia, ma Robinhood si rivela non essere la “volpe rossa vestita di verde che ruba ai ricchi per donare ai poveri”. Il 28 gennaio 2021 unitamente ad altre piattaforme di trading blocca per un periodo le operazioni di acquisto ai retail. La motivazione ufficiale? Problemi tecnici e la necessità di reperire fondi a garanzia dell’enorme operatività. Le quotazioni precipitano generando ingenti perdite a tantissimi piccoli trader dell’ultima ora. La bolla si sgonfia. Per gli amanti delle statistiche, ad inizio 2023 il prezzo di Gamestop è tornato sotto quota 20 dollari per azione. Considerando che nel 2022 GameStop ha effettuato uno split di 4:1, si tratta di un valore inferiore fra 70 ed 80 dollari ante split. L’azione dai massimi è quindi scesa di circa l’80%.

Speculazioni e bolle in borsa

Bolle e speculazioni: in tutti i casi citati, i provvedimenti intrapresi hanno alimentato accesi dibattiti. Anche la recente disposizione sul tetto del gas è stata al centro di grandi discussioni. Attualmente i prezzi sono lontani dalla soglia di 180 euro per Mega-wattora fissata per un intervento. In assenza di fatti esogeni occorrerà attendere i mesi estivi, quando le necessità di stoccaggio faranno aumentare la domanda di gas, per eventualmente verificarne l’efficacia.

Storia della Borsa

Storia della Borsa è una rubrica a cura di Fabrizio Fiorani. Di seguito i link per accedere alle precedenti puntate.

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Azioni Privilegiate e Azioni di Risparmio https://www.investire-certificati.it/azioni-privilegiate-e-azioni-di-risparmio/ Sat, 11 Feb 2023 07:09:00 +0000 https://www.investire-certificati.it/?p=27306 Non ci sono più le azioni privilegiate e azioni di risparmio di una volta! Le cosiddette azioni priv. e le risp., hanno segnato un’epoca in borsa. Ma paiono ormai in chiaro declino. Ripercorriamo la storia delle azioni privilegiate e di risparmio ed il loro funzionamento su Borsa Italiana. Ci accompagna Fabrizio Fiorani. Cosa sono le […]

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Non ci sono più le azioni privilegiate e azioni di risparmio di una volta! Le cosiddette azioni priv. e le risp., hanno segnato un’epoca in borsa. Ma paiono ormai in chiaro declino. Ripercorriamo la storia delle azioni privilegiate e di risparmio ed il loro funzionamento su Borsa Italiana. Ci accompagna Fabrizio Fiorani.

Cosa sono le Azioni Privilegiate e le Azioni Risparmio?

Le azioni privilegiate e quelle di risparmio, rispetto alle azioni ordinarie, prevedono una prelazione nel riparto degli utili e, in caso di scioglimento della società, nel rimborso del capitale. A fronte di questi vantaggi le azioni privilegiate possono esercitare il diritto di voto soltanto nelle assemblee straordinarie mentre quelle di risparmio ne sono sprovviste.

Le Azioni Privilegiate e Azioni Risparmio furono introdotte per incentivare l’investimento in borsa dei piccoli investitori, più interessati al rendimento dell’investimento che alla gestione della Società. Un mondo parallelo che nel corso degli anni ha saltuariamente attirato su di sé l’attenzione ma che sembra ormai da tempo destinato all’estinzione.

Storia della Borsa

Quando ho iniziato a lavorare in Borsa molte Società quotavano varie combinazioni delle categorie di azioni. Solo per fare un esempio di ogni tipologia ricordo La Rinascente ord. priv. risp., Toro Assicurazioni ord. priv. e Stet ord. risp..

Singolare il caso dell’IFI (Istituto finanziario industriale), holding finanziaria del gruppo Agnelli, che quotava solo le azioni privilegiate. Questa “anomalia” fu superata solo nel 2009 quando IFI incorporò l’altra finanziaria del gruppo IFIL che quotava sia le azioni ordinarie che quelle di risparmio. La Società incorporante (IFI), che cambiò denominazione sociale in EXOR, a quel punto si trovò ad avere le tre categorie di azioni (ordinarie, privilegiate e di risparmio). Nel 2013 con la conversione alla pari di priv. e risp. in ord. si giunse infine all’attuale situazione con la quotazione delle sole EXOR ordinarie.

In questo caso ed in molti altri, specie se relativi a conversioni obbligatorie, i detentori di azioni priv. e risp. ottennero un concambio alla pari, ma non sempre è stato così.

Conversione di azioni risparmio e privilegiate

Operazioni che mi lasciarono perplesso furono quelle di Italcementi e Italmobiliare. Ricordo che le Società erano solite fare aumenti di capitale con l’offerta in opzione agli azionisti ord./risp. di nuove azioni della stessa categoria posseduta al medesimo prezzo di sottoscrizione. Dato che le azioni di risparmio quotavano con un forte sconto rispetto alle ordinarie questa circostanza sollevava malumori fra gli azionisti di risparmio. Le Società motivavano tale scelta adducendo che i diritti patrimoniali degli azionisti ord./risp. erano gli stessi. 

In base a queste considerazioni e sull’analisi dei 17 concambi di azioni risp. in ord. avvenute dal 2000 al 2014 (10 alla pari su 17 totali di cui ben 10 su 12 di quelli obbligatori) mi sarei aspettato un rapporto 1:1 nell’eventualità di conversioni obbligatorie nelle società del gruppo Pesenti ma non fu così.

Nel 2014 Italcementi convertì obbligatoriamente 1 azione risp. in 0,65 ord. giustificando tale rapporto anche in considerazione dello sconto di quotazione medio alla Borsa di Milano fra le due tipologie di azioni (circa 46%). 

Dibattiti riguardarono anche l’operazione posta in essere dall’Italmobiliare nel 2016 che distribuì agli azionisti di risparmio un dividendo straordinario (in parte in denaro ed in parte con azioni Heidelberg Cement AG.) e convertì ben 10 risp. in solo 1 Ord. L’operazione a detta di alcuni si configurò in larga parte come liquidazione forzata dell’azionista di risparmio.

Da rilevare che l’assemblea speciale dei possessori di azioni di risparmio può fra l’altro esprimersi sulle deliberazioni dell’assemblea della società che pregiudicano i loro diritti con il voto favorevole di tante azioni che rappresentino almeno il venti per cento delle azioni di categoria. In quel caso gli azionisti approvarono l’operazione ma in altre circostanze questa possibilità innescò vere e proprie speculazioni.

OPA di BNP su BNL

BNP Paribas emittente certificates

Eclatante il caso avvenuto dopo l’OPA su BNL nel 2006 quando BNP Paribas offrì 2,9275 Euro per le due categorie di azioni e si trovò a detenere il 97% delle ordinarie ed il 37,90% delle risparmio.  Avendo intenzione di procedere alla fusione delle due banche, BNP volle raggiungere la maggioranza delle azioni di risparmio onde evitare un’eventuale opposizione degli azionisti in “assemblea speciale”. Si scatenò un rialzo delle quotazioni delle azioni di risparmio fino a quando BNP acquistò ai blocchi un pacchetto di azioni a 3,75 Euro (+28% rispetto al prezzo d’OPA di qualche mese prima) e raggiunse il 72% di tale categoria di azioni.

Un tentativo di scalata in borsa con le azioni privilegiate

Un’altra operazione che fece scalpore sul finire dei mitici anni Ottanta fu la tentata scalata di borsa da parte di Florio Fiorini all’Interbanca facendo leva sulle azioni privilegiate. Nel 1989 Francesco Micheli acquistò dalla Sasea di Florio Fiorini le azioni rastrellate. In seguito, riuscì a raggiungere il 51,7% del capitale sociale complessivo (35,77% delle ord. e 70,81% delle priv.). Però, non riuscì ad avere il controllo di Interbanca che rimase saldamente nelle mani del Conte Giovanni Auletta Armenise. Infatti, tramite Banca Nazionale Agricoltura, il banchiere disponeva del 62% delle azioni ordinarie.

Si creò una situazione di stallo con l’assemblea ordinaria in mano al Conte e quella straordinaria al finanziere in grado di bloccare qualunque operazione che eccedesse la normale amministrazione. Questa fase venne superata solo nel 1995 quando la Banca di Roma lanciò l’OPA sulla Bonifiche Siele che controllava BNA e successivamente rilevò da Micheli gran parte di quell’ingombrante pacchetto di azioni Interbanca.

Perché le aziende convertono le azioni privilegiate e di risparmio in azioni ordinarie?

Sono numerose le ragioni che inducono le Società a convertire le azioni privilegiate e di risparmio in ordinarie. Dai prospetti si fa riferimento ad “una maggiore trasparenza nella governance con un’unica categoria di azioni, con gli stessi diritti e lo stesso prezzo e quindi il pieno allineamento degli interessi tra tutti gli azionisti, un aumento della capitalizzazione di mercato ordinaria con conseguente maggiore peso negli indici e nel portafoglio degli investitori istituzionali, una riduzione degli adempimenti societari e dei costi connessi all’esistenza di differenti categorie di azioni, un aumento della liquidità del titolo sia per gli azionisti ordinari che per quelli privilegiati e di risparmio post conversione”.

Azioni di risparmio su Borsa Italiana

Ormai le società che quotano azioni di risparmio sul nostro mercato sono ridotte al lumicino. Fra queste abbiamo Danieli, Edison, KME Group, Sars Getters, Saipem, Telecom Italia e Webuild. Su ognuna può essere raccontata una storia. Da Edison che non quota le ordinarie ma solo le risparmio, a Danieli e Saes Getters che avrebbero liquidità da investire. Per arrivare a Telecom, che di conversioni volontarie ne ha già fatte almeno due (nel 2001 e nel 2015) e non so quante altre volte si è parlato di una nuova operazione in arrivo.

Gli operatori si interrogano su quale sarà la prossima azione di risparmio a lasciarci. Difficile dare una risposta. Probabilmente, però, danr, ednr, ikgr, sgr, spmr, wbdr e titr (telecom italia risparmio) sono destinate a sparire nei prossimi anni.

Storia della Borsa

Storia della Borsa è una rubrica a cura di Fabrizio Fiorani. Di seguito i link per accedere alle precedenti puntate.

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Cosa sono le OPA? https://www.investire-certificati.it/cosa-sono-le-opa/ Thu, 02 Feb 2023 05:31:00 +0000 https://www.investire-certificati.it/?p=27254 Cosa è un’OPA in Borsa? Cosa sono le offerte di pubblico acquisto volontaria e cosa sono invece le OPA obbligatorie? In questa puntata di Storia della Borsa siamo andati a ripercorrere alcune delle grandi OPA avvenute su Borsa Italiana. Come sempre guidati da Fabrizio Fiorani. Cosa è un’OPA Vediamo una definizione di OPA. Con OPA si intende un’offerta […]

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Cosa è un’OPA in Borsa? Cosa sono le offerte di pubblico acquisto volontaria e cosa sono invece le OPA obbligatorie? In questa puntata di Storia della Borsa siamo andati a ripercorrere alcune delle grandi OPA avvenute su Borsa Italiana. Come sempre guidati da Fabrizio Fiorani.

Cosa è un’OPA

Vediamo una definizione di OPA. Con OPA si intende un’offerta pubblica di acquisto. Si tratta di un’operazione di borsa in cui una persona o un’azienda dichiarano di essere pronti ad acquistare i titoli di una società. L’OPA può essere obbligatoria o volontaria.

Opa Obbligatoria

L’OPA obbligatoria deve essere obbligatoriamente lanciata sulla totalità delle azioni ordinarie dal soggetto che viene a detenere una partecipazione superiore al 30% del capitale di una società quotata. Il prezzo di offerta non può essere inferiore alla media aritmetica tra il prezzo medio ponderato di mercato degli ultimi 12 mesi e quello più elevato pattuito nello stesso periodo dall’offerente per acquisti di azioni ordinarie. 

Opa Volontaria

L’OPA volontaria è invece rimessa alla mera volontà dell’Offerente che determina il prezzo (generalmente superiore a quello di mercato, ma in talune circostanze potrebbe essere anche inferiore), eventuali condizioni per il buon fine dell’Offerta (ad esempio il raggiungimento del 90% delle azioni oggetto dell’offerta). L’OPA volontaria può riguardare la totalità dei titoli della categoria emessi dell’Emittente (Opa volontaria totalitaria) o solo una parte di essi (Opa volontaria parziale).

Storia delle OPA in borsa

Investire in Borsa
Investire in Borsa

Si fa presto a dire OPA. Che emozione apprendere che il controllo di una società quotata è passato di mano e sarà lanciata un’Offerta Pubblica di Acquisto sulla totalità delle azioni. Non sempre è stato così. La normativa sulle OPA è stata una grande conquista che ha avvicinato i diritti del piccolo investitore a quelli dell’azionista di maggioranza.

Molte cose sono cambiate da quando ho iniziato a lavorare in Borsa. Ai tempi si aveva la sensazione che nelle operazioni “straordinarie” gli azionisti fossero tutti uguali solo in caso di aumento di capitale, cioè quando c’era da “metter mano al portafogli”. Anche la dizione “parco buoi”, che in Borsa identificava la zona destinata al pubblico, veniva collegata agli sprovveduti risparmiatori regolarmente “tosati” dalla speculazione.

La prima OPA su Borsa Italiana

Ma torniamo all’OPA. La prima operazione in Italia fu lanciata nel 1971 su Bastogi, ai tempi considerata il “salotto buono della finanza”. L’operazione fallì per l’intervento dell’establishment ma avviò il dibattito sulla necessità di una regolamentazione in materia.

Un caso eclatante al quale assistetti e che riaccese la discussione fu nel 1988 quando avvenne il passaggio del 54% del capitale Mira Lanza al prezzo di 108.000 lire nell’indifferenza delle quotazioni del titolo che per un lungo periodo continuarono ad oscillare fra 35.000 e 40.000 lire. 

La motivazione che si sentiva ripetere in questi casi era sempre la stessa: “le azioni che garantiscono il controllo e la gestione della Società hanno un valore superiore a quello dei titoli scambiati sul mercato”.

Affermazione in linea di massima condivisibile ma a volte la differenza appariva esagerata. Il detto che equiparava la Società ad un salame dove l’azionista di maggioranza era solito “affettare” e quello di minoranza tenere la cordicella che spesso era l’unica cosa che gli rimaneva in mano rendeva perfettamente l’idea. Ciò penalizzava ovviamente gli investimenti.

Normativa sulle OPA

Nonostante le feroci polemiche che seguirono, solo nel 1992 fu introdotta per la prima volta in Italia la disciplina sull’OPA. Successivamente la normativa subì numerose modifiche da parte del legislatore italiano fino al varo della direttiva europea approvata nel 2004 e da noi recepita nel 2007. 

Borsa alle grida
Borsa alle grida – Fabrizio Fiorani

Da allora OPA, OPS, OPAS, volontaria, obbligatoria, amichevole, ostile, parziale, totalitaria, a premio, a sconto, con o senza delisting hanno animato il mercato. Alcune società hanno fatto anche il “bis”. Ricordo Allianz che ha lanciato un’OPA prima su Lloyd nel 1995 e successivamente su Ras nel 2005. Singolare anche il caso della Toro Assicurazioni, oggetto di OPA nel 2003, ricollocata nel 2005 e nuovamente finita sotto OPA nel 2006.  

La tendenza è proseguita sulla nostra Borsa anche nel 2022. Sono infatti state realizzate OPA su oltre venti società per una capitalizzazione complessiva di circa 33 miliardi. Abbiamo assistito ad OPA lanciate a prezzi superiori a quelli di mercato, a prezzi inferiori, che sono andate ai “supplementari” o che sono state ritirate.

Opa Atlantia e Opa Tod’s

Due casi hanno rappresentato l’eccezione al detto: “il mercato ha sempre ragione”. Nel primo abbiamo visto le quotazioni di Atlantia trattare con un discreto sconto rispetto a quello fissato dall’OPA. Un’offerta di pubblico acquisto su Atlantia che si è conclusa positivamente anche se è stata necessaria una breve proroga. Per contro, le quotazioni di Tod’s dal lancio dell’operazione e per tutto il periodo di adesione, hanno trattato sempre a premio sottendendo un rilancio che non c’è stato. Anche per queste attese le adesioni non hanno raggiunto la soglia minima di adesione del 90%. Della Valle ha ritirato l’offerta, riconsegnato le azioni a chi aveva aderito e le quotazioni sono precipitate.

Nel 2023 e 2024 potrebbero essere varate nuove operazioni straordinarie. Ciò in particolare nel settore finanziario, nelle telecomunicazioni, ma anche su energia, industriale e beni di consumo. Il venir meno di un’abbondante liquidità a tassi prossimi allo zero e le prospettive di un rallentamento economico potrebbero indurre i grandi gruppi a concentrarsi sul core business. Potremmo quindi assistere a cessioni di partecipate a chi intende aumentare la presenza nel proprio settore. 

OPA in borsa su Telecom?

telecom italia
telecom italia

OPA su Telecom: una lunga storia! Sono infatti ricorrenti le attese su Telecom che già nel 1999 fu oggetto di quella che è ancora oggi ricordata come la “madre di tutte le OPA”.

Nel novembre del 2021 il fondo americano Kkr presentò una manifestazione d’interesse “non vincolante e indicativa” per un’OPA amichevole sul 100% della Società ad un prezzo di 0,505 euro per azione. Il titolo balzò da 0,35 circa fino a superare per pochi attimi 0,50. L’ottimismo per la possibile OPA su Telecom durò poco e dopo il dietrofront di Kkr le quotazioni ripiombarono verso quota 0,17 a metà ottobre 2022. Da quei livelli è partita una nuova crescita delle quotazioni sull’attesa di nuove operazioni straordinarie.

Le ultime indiscrezioni danno il fondo di private equity Kkr pronto a fare una nuova offerta per la rete di Tim. Il tentativo è quello di superare Cdp (Cassa Depositi e Prestiti) che, nelle attese del mercato, avrebbe dovuto mettersi alla testa di Tim. Sarà la volta buona per un’OPA su Telecom?

Banche e assicurazioni

L’acquisizione di Carige da parte Bper avvenuta lo scorso anno ha ridotto ulteriormente il numero di banche quotate sul nostro listino. Tale tendenza ricorda quanto accaduto al comparto assicurativo, che un tempo annoverava nella Grida “A”, in ordine di “chiamata”: Ras, Generali, Alleanza, Abeille, Lloyd’s, Toro, La Previdente, La Fondiaria, Sai, Unipol, Vittoria, Italia, Milano, Latina, Ausonia. Nel terzo mercato trovavamo poi Norditalia e Bavaria.

Di queste numerose compagnie assicurative, ironia della sorte, solo Generali ha mantenuto la “ragione sociale”. E pensare che nei miei “40 anni di Borsa” ho assaporato più volte l’aspettativa di operazioni straordinarie sul titolo. Grandissimi personaggi si sono prodigati verso il mantenimento dello “status quo” o verso un cambiamento. Fra i primi il banchiere Enrico Cuccia a capo di Mediobanca che asseriva: “le azioni si pesano e non si contano”. Fra i secondi l’industriale Leonardo Del Vecchio che su Generali e Mediobanca non è riuscito a portare a termine la sua ultima battaglia.

Ecco, dunque, alcune delle principali OPA, offerte di pubblico acquisto, su Borsa Italiana degli ultimi cinquant’anni.

Storia della Borsa

Storia della Borsa è una rubrica a cura di Fabrizio Fiorani. Per chi volesse leggere le precedenti puntate riportiamo le pagine specifiche.

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Pasti Gratis di Borsa https://www.investire-certificati.it/pasti-gratis-di-borsa/ Sat, 28 Jan 2023 07:34:00 +0000 https://www.investire-certificati.it/?p=27148 Una delle massime più note del mondo finanziario è legata al fatto che “non esistono pasti gratis in borsa”. In realtà, in alcune rare situazioni si trovano ancora occasioni di arbitraggio. Nulla a che vedere, però, con quanto capitava negli anni Novanta, quando il mercato telematico era soltanto agli albori e non esistevano le macchinette. […]

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Una delle massime più note del mondo finanziario è legata al fatto che “non esistono pasti gratis in borsa”. In realtà, in alcune rare situazioni si trovano ancora occasioni di arbitraggio. Nulla a che vedere, però, con quanto capitava negli anni Novanta, quando il mercato telematico era soltanto agli albori e non esistevano le macchinette.

Di fatto, all’epoca, vi era una minore competizione e non mancavano le occasioni per dei “pasti gratis” sui mercati di borsa. O quantomeno occasioni con un rapporto rischio/rendimento veramente basso. Anche questa volta siamo andati a riscoprire la storia con l’appassionante racconto di Fabrizio Fiorani.

I pasti gratis di Borsa

Non ci sono più in Borsa i “pasti gratis” di una volta.  Dal 1995 al 2003 ho avuto la fortuna di avere riservato, a nome della Società per la quale lavoravo, un “tavolo” privilegiato sui mercati finanziari che offrivano ad “arbitraggisti & scalper” un favorevolissimo rapporto rischio/rendimento.

Nel 1994 nacque il MOT (mercato telematico delle obbligazioni) ed il mio capo fu fra i primi operatori a cogliere una grandissima opportunità di arbitraggio.

borsa

I tassi di interesse sui titoli di stato erano appetibili e sul mercato veniva convogliata un’enorme massa di ordini in acquisto da parte dei “BOT people”. Nelle aste di apertura di metà mattinata i book delle ultime emissioni di BOT, CTZ , BTP e CCT mostravano sbilanci in acquisto nell’ordine di decine di miliardi di lire. Noi arbitraggisti ci ponevamo come controparte sul MOT e ci ricoprivamo sull’MTS (mercato all’ingrosso dei titoli di stato). I tick che restavano attaccati permettevano, su centinaia di miliardi, lauti guadagni. Io operavo sui CTZ a due anni. Emessi dal Tesoro per la prima volta nel febbraio del 1995 avevano riscontrato un grandissimo successo presso i risparmiatori. Il flusso di acquisti in particolare su questi titoli proseguiva anche nella fase di continua fino alla chiusura del mercato.

Pasti gratis in Borsa sull’ordine TON – “Tutte o niente”

Un’altra possibilità di arbitraggio poteva presentarsi all’interno del book di negoziazione stesso al verificarsi di certe condizioni sull’ordine “TON” (tutte o niente). Quest’ultimo veniva inserito per un miliardo di lire o multipli e si applicava per la quantità intera apponendo una “X” di fianco allo stesso. Pur essendo visibile a latere del book l’ordine “TON” non si incrociava con gli altri ordini “normali” anche se di quantità superiori e a prezzi compatibili.

In caso di movimenti di mercato poteva quindi accadere di vedere ad esempio 1 miliardo di ordini “normali” in denaro a 98,10 e un “TON” per 1 miliardo in lettera a 98,00. Noi trader acquistavamo il miliardo TON a 98 e lo rivendevamo immediatamente a 98,10 lucrando la differenza (un milione di lire). Però bisognava stare attenti perché a volte qualche “furbacchione” sulla situazione della citata quantità in denaro sul book a 98,10 metteva in lettera un TON a 99,05 (una figura sopra e 5 cent sotto). Se qualche malcapitato “abboccava” il pasto anziché gratis risultava oltremodo indigesto.

Dopo qualche tempo iniziarono ad arrivare altri competitor ma i pasti, seppur meno abbondanti, continuarono per quel che mi riguarda fino al luglio del 1997 quando fui trasferito al comparto azionario anche per sviluppare il trading in questo settore.

Pasti gratis sul mercato azionario

Sull’MTA gli arbitraggi “chiusi” si limitavano alle operazioni di aumento di capitale (i diritti erano trattati a termine) o alla conversione di warrant eobbligazioni convertibili, ma esistevano grandi opportunità nello “scalping”.

Era appena iniziata la fase di crescita del mercato che avrebbe condotto alla bolla delle dot-com. Il rialzo delle quotazioni attirava un numero sempre maggiore di risparmiatori poco avveduti che trasmettevano ordini “al meglio” sia in acquisto che in vendita per la gioia dei trader.

Sui titoli sottili gli spread fra denaro e lettera erano elevati e potevi tranquillamente usare la “tattica del pescatore”. Posizionavi le “cannette” (PDN – proposte di negoziazione) in acquisto e in vendita. Poi attendevi l’abbocco di un eseguito e cercavi di chiudere la posizione lunga/corta che si era determinata. L’ampiezza dello spread consentiva un buon margine di guadagno o quantomeno di limitare i danni nel caso in cui il mercato ti avesse giocato contro.

Sui titoli più liquidi oltre alla tattica del pescatore potevi usare anche quella del “cacciatore”. Sempre con uno sguardo al Dax la mattina ed al Dow Jones il pomeriggio su un movimento repentino o sulla comunicazione di dati economici o societari, colpivi il primo denaro/lettera cercando di chiuderti anche al tick successivo. Del resto i tick di negoziazione erano meno frazionati rispetto agli attuali e garantivano una discreta remunerazione. 

Arbitraggio su azioni Enel

Pasti gratis su azioni Enel? Oggi sembrerebbe impossibile. Eppure ricordo che Enel per un certo periodo trattava con 0,05 tick su un valore di circa 5 Euro, uno sproposito! Alle 8,00 di mattina ci affrettavamo ad inserire ordini su più livelli per acquisire la priorità d’orario. Su supporti/resistenze ed in particolare su “cifre tonde” piazzavamo anche ordini “a revoca”. Dopo qualche minuto e durante la seduta si formavano enormi quantitativi su ogni livello del book. Essere fra i primi in denaro/lettera avrebbe dato buone possibilità di eseguire la compravendita in utile o quantomeno di chiudere la posizione in pari su chi era dietro di te. 

In prossimità dell’apertura e fino alla chiusura della seduta diurna, non restava che gestire attentamente le “scalette”. Ad ogni “giro” da 100.000 titoli corrispondeva un guadagno di 5.000 euro. Gli scambi elevati e la bassa volatilità che caratterizzava il titolo si prestavano a questo tipo di attività che permetteva di effettuare mediamente 3 o 4 “giri’ in utile a seduta.

Ai tempi le PDN presenti sul mercato riportavano inoltre il codice dell’operatore. Quando vedevi operare certe controparti (1415 Morgan Stanley, 581 Credit Agricole, 1505 Euromobiliare, 1517 Caboto ecc.) ti facevi subito un’idea dell’andamento dell’azione o del mercato.

Ognuno di noi era specializzato su qualche titolo. Io seguivo in particolare Telecom e TIM che, grazie al costante interesse sul settore, scalate e O.P.A., hanno sempre offerto ottime opportunità di trading.

Bolla dot.com

Un altro momento è stato quello della bolla dot.com, con forti rally dei titoli tecnologici nel pieno della bolla internet. Ricordo E.Biscom il primo giorno di quotazione. Scambi sbalorditivi, spread ampi ed il book che sembrava una slot machine. I livelli di prezzo si modificavano con una rapidità tale che facevi fatica a vederli. Inserivi ordini a raffica a +/- 1 o 2% rispetto agli ultimi prezzi segnati monitorando la posizione per mantenerla il più possibile pareggiata. Quel giorno inserii migliaia di ordini di importo modesto ma che generarono sul titolo un utile (per la Società) di 60.000 euro.

Pasti gratis sul mercato after hours?

storia di borsa

Nel maggio 2000 debuttò il Trading After Hours che consentì qualche opportunità di guadagno. Dopo la chiusura dell’MTA e fino alle 18,00 si inserivano sul mercato serale proposte di negoziazione in denaro/lettera con un discreto spread.

Data la novità e l’ampia partecipazione di molti trader online alle prime armi, poteva succedere di essere applicati in avvio delle negoziazioni a prezzi favorevoli. Poi si chiudeva la posizione di trading aperta non appena gli spread si restringevano. Solo il 18 aprile 2002 gli spread rimasero ampi. La notizia che un piccolo aereo si era schiantato alle 17,45 contro il grattacielo Pirelli di Milano fece temere un nuovo 11 settembre e scatenò il panico sul mercato. Il giorno successivo, appurato che si era trattato di un incidente non ricollegabile ad atti terroristici, la situazione si normalizzò.

Disallineamenti fra futures e sottostante nel “buio tecnico”

Possiamo poi menzionare anche alcuni disallineamenti fra il valore dei futures ed il sottostante nel “buio tecnico”. Infatti, altre opportunità furono offerte dai differenti orari di negoziazione fra future e cash. Fino al 1° settembre del 1999 i titoli liquidi iniziavano la validazione alle 9,30 e la negoziazione continua alle 10. Quindi sul cash il “buio tecnico” durava 30 minuti durante i quali il futures negoziava e poteva registrare variazioni anche importanti di prezzo creando un disallineamento con le quotazioni dei titoli componenti il paniere.

In queste occasioni si “scandagliavano” i book di negoziazione alla ricerca di qualche Blue Chips con PDN rimaste a seconda dei casi in denaro o in lettera a prezzi “convenienti” da poter applicare. Una volta individuata “la preda” alle ore 10:00:00 in punto si cercava di colpirla. Chiaramente oltre ad una certa abilità occorreva anche fortuna ma chi si aggiudicava il trade poteva passare immediatamente all’incasso della plusvalenza conseguente al riallineamento dei valori del cash con quelli del future.

Dal 1° settembre 1999 il miglioramento dei livelli di efficienza e funzionalità raggiunto dai sistemi tecnologici permise di ridurre a soli 15 minuti il  “buio tecnico” limitando le possibilità di arbitraggio. La tendenza continuò progressivamente fino alla situazione attuale dove le fasi di validazione, apertura e conclusione dei contratti dei titoli si svolgono tutte nel minuto fra le 9:00.00 alle 9:00.59 in modo casuale. Questo elimina di fatto ogni “disallineamento temporale”.  

Pasti gratis sulle spezzature

Ai tempi dei lotti minimi sulle azioni, in caso di aumenti di capitale, esercizio di warrant, conversione di obbligazioni, assegnazione di azioni gratuite ecc. si formavano numerosissime “spezzature”. Per molti investitori potevano rappresentare un problema o quantomeno un fastidio.

La prima soluzione telematica ideata da Borsa Italiana fu quella di permettere di inserire le spezzature in un circuito dedicato al fine di favorire l’incontro fra domanda e offerta. La conclusione dei contratti avveniva quotidianamente alle ore 12,00 sui prezzi di apertura della mattina. 

trader
Cosa fa il Trader?

Solitamente il book delle spezzature presentava importanti sbilanci in lettera. In caso di un rialzo delle quotazioni di un titolo dopo la fase di apertura, si era soliti, verso mezzogiorno, verificare l’esistenza di quantità sul mercato delle spezzature che consentissero un arbitraggio.  Ad esempio, se lo sbilanciamento in lettera fosse stato di 10.123 su un titolo con minimo 1.000 sarebbe bastato inserire 10 ordini in acquisto da 999 pezzi più un ordine da 10 per accaparrarsi 10.000 azioni al prezzo di apertura e rivenderle immediatamente nella fase di continua a prezzi superiori.  I pasti finirono nel dicembre del 1995 quando la riforma del mercato delle spezzature ne cambiò le modalità di funzionamento ed introdusse la figura dello “Specialist”.

Arbitraggio sui covered warrant

Quali altri pasti gratuiti vale la pena ricordare in borsa? Un tempo era possibile anche fare arbitraggio o trading con basso rischio sui covered warrant. Infatti, in quegli anni altri pasti gratis furono serviti sul mercato dei covered warrant in quanto i market maker a volte adeguavano i prezzi con un certo ritardo rispetto al variare del sottostante. Abili trader ne approfittarono per realizzare importanti guadagni. Purtroppo, a quel tavolo non ebbi mai l’accortezza di sedermi.

Un decennio dedicato al trading, ricco di soddisfazioni ma molto “intenso”, con pasti (questa volta reali) consumati sempre davanti al video. A volte avevi anche difficoltà nel trovare un momento idoneo, come eravamo soliti dire, per “scaricare l’oscillatore”. Fortunatamente la prostata ai tempi garantiva lunghe autonomie. 

Tutte le attività menzionate le ho svolte per la Società per cui lavoravo ma, molte di queste, le avrei potute effettuare anche come privato con risultati simili. Dal 1999 infatti i broker online erano diventati sempre più numerosi, le piattaforme di negoziazione più efficienti. Al tempo stesso le commissioni per il trading online si erano anche ridotte. I facili guadagni e le prospettive di arbitraggi e pasti gratis indussero qualche operatore a mettersi in proprio ma, dopo qualche tempo, la situazione mutò rapidamente.

Le macchinette nel trading

L’avvento delle “macchinette” ridusse gli spread, la maggiore frammentazione dei tick di negoziazione abbassò i margini di guadagno, l’accresciuta competitività dei partecipanti al mercato aumentò la concorrenza. Salvo qualche eccezione finirono i “pasti gratis”. Oggi di fatto, è vero che i pasti gratis in borsa non esistono più. Lo scalping lasciò sempre più spazio al trading che, rispetto al primo, richiede una professionalità ancora maggiore e comporta l’assunzione di rischi nettamente superiori.

Storia della Borsa

Storia della Borsa è una rubrica a cura di Fabrizio Fiorani. Ecco le precedenti puntate.

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Il Mese Borsistico https://www.investire-certificati.it/il-mese-borsistico/ Sun, 22 Jan 2023 06:18:00 +0000 https://www.investire-certificati.it/?p=27032 Cosa si intende con mese borsistico? Focus su premi di borsa e contratti di riporto. Nuova puntata di Storia della Borsa, la rubrica curata da Fabrizio Fiorani, che ha vissuto in prima persona il progressivo passaggio dalla borsa alle grida al trading online telematico. Investire in borsa oggi Future, option, ETF a leva, CFD, certificati […]

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Cosa si intende con mese borsistico? Focus su premi di borsa e contratti di riporto. Nuova puntata di Storia della Borsa, la rubrica curata da Fabrizio Fiorani, che ha vissuto in prima persona il progressivo passaggio dalla borsa alle grida al trading online telematico.

Investire in borsa oggi

Future, option, ETF a leva, CFD, certificati turbo, covered warrant sono solo alcuni strumenti attualmente disponibili per operare long/short su azioni utilizzando la leva finanziaria. Ma vediamo quali erano gli strumenti per effettuare una simile operatività ai tempi della Borsa gridata, alcuni “effetti collaterali” che producevano. Proseguiamo poi con i passaggi verso la situazione attuale.

Il mese borsistico

Iniziamo col dire che la liquidazione dei contratti non era come avviene oggi a contanti ma a termine. Tutte le compravendite effettuate in un determinato “mese borsistico” venivano regolate mensilmente nel giorno di liquidazione fissato dal calendario di Borsa.

Borsa alle grida
Borsa alle grida – Fabrizio Fiorani

Il mese borsistico corrispondeva più o meno dalla metà di un mese alla metà del mese seguente. Pertanto, il mese borsistico si poneva a “cavallo” di due mesi solari e la liquidazione avveniva alla fine del mese solare in cui terminava il mese borsistico. Per esempio, nel 2023 la cosiddetta “liquidazione dei morti” sarebbe probabilmente iniziata lunedì 16 ottobre e terminata venerdì 17 novembre. Tutte le compravendite concluse in questo lasso di tempo avrebbero registrato la consegna ed il pagamento dei titoli giovedì 30 novembre.

Era fantastico! Se avessi acquistato un’azione all’inizio del mese borsistico avresti avuto fino a 45 giorni di tempo per “pagarla” e fino a 30 per rivenderla con il solo accredito o addebito sul conto corrente del differenziale di prezzo.

Il venditore era chiaramente soggetto alle stesse tempistiche. Ciò, contestualmente, aveva aspetti sia positivi che negativi. Fra questi ultimi chi aveva bisogno di liquidità doveva attendere come minimo 15 giorni prima di ricevere l’accredito. Chi effettuava “vendite di titoli allo scoperto” invece poteva ricoprirli nella stessa liquidazione senza altre incombenze.

Operazioni short e a leva nel mese borsistico

All’interno del mese borsistico risultava quindi agevole effettuare operazioni short e a leva anche perché spesso veniva richiesta solo una percentuale dell’intero importo delle compravendite. Queste ultime potevano inoltre essere prorogate utilizzando il “riporto di Borsa”. 

Con questo contratto il riportato trasferiva in proprietà al riportatore titoli ad un determinato prezzo, ed il riportatore assumeva l’obbligo di ritrasferire al riportato, alla scadenza del termine stabilito, la proprietà di altrettanti titoli della stessa specie, verso rimborso del prezzo, che poteva essere aumentato o diminuito nella misura convenuta.

Il riportato aveva quindi la possibilità di finanziarsi per protrarre posizioni rialziste. D’altro canto, il riportatore otteneva i titoli per procrastinare posizioni ribassiste. Normalmente il prezzo a pronti era inferiore al prezzo a temine ma poteva succedere che fosse superiore ed in questo caso si configurava come “deporto”.

Contratto di riporto

Il contratto di riporto è utilizzato ancora oggi in vari campi ma ai tempi era un appuntamento mensile fissato nel calendario di Borsa dopo quello della risposta premi. L’incontro tra domanda e offerta per ogni titolo trattato determinava un tasso percentuale che variava da livelli superiori a quello di mercato fino a zero nel caso di riporto “alla pari”. Il deporto era invece espresso in misura unitaria.  

L’analisi dei dati forniva indicazioni sulle posizioni rialziste/ribassiste presenti sulle azioni trattate. Tanto più alto era il tasso di riporto di Borsa di un titolo tanto maggiore si presumeva fosse la speculazione rialzista sullo stesso. Viceversa, se i tassi erano bassi, “alla pari”, o addirittura si fissava un deporto eravamo in presenza di una forte richiesta di titoli per prorogare posizioni ribassiste.

Anche allora esisteva l’anticipazione su titoli che era molto utilizzata in ambito bancario per finanziarsi. Tramite questo contratto il cliente metteva a pegno dei titoli (solitamente titoli di stato o azioni) e la banca concedeva un credito al cliente pari al valore dei titoli decurtato di uno scarto di garanzia.

Premi di borsa

Un altro strumento impiegato per effettuare operazioni a leva e short era quello dei premi. Si trattavano Dont (Call), Put, Stellage (Straddle), Strip (1 dont + 2 put) e Strap (2 dont + 1 put). 

borsa

La liquidazione a termine agevolava le “trasformazioni” dei premi. Non conveniva dare risposte “anticipate”. Chi avesse acquistato ad esempio un premio Fiat base 15.000 + dont ottobre 86, sull’onda dell’operazione “Lafico” che portò le quotazioni fino a 16.500, avrebbe potuto vendere le azioni trasformando il dont in put. Sulle “due gambe dell’operazione” (lungo dont, corto fisso) avrebbe potuto costruire ulteriori strategie o semplicemente sperare di realizzare un maggior profitto da una eventuale discesa delle quotazioni sotto la base del premio.

Liquidazione a termine, utilizzo spinto della leva, assenza di meccanismi di marginazione mark to market unitamente a forti oscillazioni dei corsi dei titoli a volte metteva in difficoltà qualche Agente di Cambio non sufficientemente capitalizzato. Solitamente i “nodi venivano al pettine” in prossimità del giorno di liquidazione. Spesso slittava di qualche seduta per consentire la sistemazione delle posizioni. Nei casi più gravi veniva dichiarata l’insolvenza dell’operatore e stabiliti tempi e modi della liquidazione coattiva dei titoli rimasti in portafoglio.

Liquidazione a contanti

Al fine di ridurre i rischi di insolvenza nel 1994 venne introdotta la liquidazione a contanti che forniva maggiori garanzie circa il buon fine delle operazioni. Inizialmente fu applicata su 52 titoli ed estesa gradualmente per permettere la progressiva sistemazione delle posizioni in essere. Nel febbraio del 1996 si svolse l’ultima liquidazione a termine. Anche la liquidazione a contanti inizialmente prevista a 5 giorni passò a 3 nel 2000 e successivamente a 2 per la maggior parte degli strumenti finanziari ad eccezione dei derivati negoziati a T+1.  Ricordo anche un periodo con azioni, BTP e CCT trattati a T+3 e BOT a T+2 che a volte generava qualche disguido negli arbitraggi a causa delle diverse valute.

Parallelamente al passaggio dalla liquidazione a termine a quella a contanti vennero introdotti alcuni strumenti in grado di supportare l’attività speculativa e di hedging. Nel 1992 il Mif (mercato italiano dei futures), nel 1994 l’Mto (mercato telematico delle opzioni) e l’Idem (mercato italiano dei derivati) e via via tanti altri.

Cassa di Compensazione e Garanzia

Nel 1992 venne anche costituita la Cassa di Compensazione e Garanzia allo scopo di garantire il buon fine dei contratti negoziati sui mercati derivati regolamentati. Da allora una maggiore patrimonializzazione e professionalità dei soggetti ammessi ad operare, la richiesta da parte della Cassa di Compensazione e Garanzia (CC&G) dei margini di garanzia e dei margini di variazione hanno ridotto sensibilmente il rischio insolvenza contribuendo a rendere più affidabile ed attrattivo il nostro mercato.

Approfondimenti

Storia della Borsa è una rubrica a cura di Fabrizio Fiorani. Ecco le precedenti puntate.

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