La Fine di Bretton Woods

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La fine di Bretton Woods avvenne il 15 agosto 1971, con l’annuncio di Nixon legato alla conclusione della conversione fra oro e dollaro a 35 dollari. Il crollo di Brettonw Woods fu l’apice di un processo durato anni ed aprì le porte al mercato moderno dell’oro e dei cambi.

La fine di Bretton Woods

La storia millenaria dell’oro è stata segnata da alcune date chiave. Fra queste, una è senz’altro il 15 agosto del 1971. Cinquanta anni fa, infatti, uno stralunato Nixon annunciava al mondo la fine della conversione fra l’oro e la banconota verde al tasso di cambio di 35 dollari.

Si trattava di un valore, valido soltanto per le banche centrali, fissato da Roosevelt il 31 gennaio 1934. Un valore che aveva resistito per oltre 35 anni, venendo confermato anche dagli accordi di Bretton Woods. Ripercorriamo le vicende legate alla fine di Bretton Woods con il racconto di Carlo Alberto De Casa nel suo libro “I segreti per investire con l’oro” (Hoepli).

Bretton Woods e “quota 35 dollari”

Gli USA, la Germania e la Gran Bretagna cercavano di mantenere Bretton Woods e “quota 35 dollari”. In particolare, gli Stati Uniti non intendevano arretrare dalla loro posizione: una modifica della parità fra oro e dollaro avrebbe, infatti, in automatico significato la svalutazione della banconota americana.

Oltre a una questione d’onore della moneta nazionale, gli USA cercavano in ogni modo di evitare la liberalizzazione del mercato dell’oro per non avvantaggiare Sudafrica e URSS, primi due Paesi produttori del metallo prezioso, entrambi in rapporti politici difficoltosi con Washington. Nel medesimo tempo, il ruolo stesso dell’oro era messo in discussione. Se gli Stati Uniti fossero riusciti a mantenere il suo prezzo stabile nei confronti del dollaro, il metallo giallo avrebbe progressivamente perso valore; viceversa, una liberalizzazione del mercato poteva conferire all’oro un ruolo ben più importante, rendendolo un efficace termometro delle emozioni della finanza.

Oro, Dollaro e Bretton Woods

Proprio in quegli anni l’analista Stefan Mendelsohn realizzò con l’Economist un opuscolo, titolato “Gold: Double Or Quits”, in cui analizzava in maniera estremamente lucida la situazione: “Se il valore dell’oro potrà essere mantenuto, come gli americani richiedono, agli attuali 35 dollari per oncia, l’importanza del metallo giallo diminuirà progressivamente. In caso contrario, se il prezzo dell’oro sarà spinto al rialzo, come richiesto soprattutto da Sudafrica e Francia, l’oro avrà nuova linfa.”[1]

E fu esattamente ciò che accadde negli anni seguenti. Sul finire del decennio la pressione rialzista crebbe non fu più contenibile. L’aggravarsi del disavanzo della bilancia commerciale americana aveva determinato un clima generale di scarsa di fiducia nei confronti della moneta statunitense. L’afflusso di vendite di dollari e i conseguenti acquisti di oro portarono a una diminuzione dello stock aureo della Federal Reserve, le cui riserve scesero dai 23 miliardi di dollari del 1950 a meno di 10 miliardi nel 1968, a fronte di un incremento della quantità di dollari in foreign hands da 9 a 33 miliardi di dollari.[2]

Verso la nascita del mercato moderno dell’oro

oro

Il presidente americano Lyndon Johnson, per far fronte a questa situazione, istituì un doppio mercato dell’oro. A fianco di quello ufficiale, cui erano ammesse solo le banche centrali, incominciò a esistere un mercato parallelo per le restanti transazioni, dove il prezzo del metallo prezioso era libero di fluttuare in base al rapporto domanda e offerta, determinando quindi quotazioni più elevate.

Dopo numerose sedute di intensi acquisti, il 15 marzo 1968 il mercato dell’oro di Londra venne chiuso precauzionalmente per due settimane. Quando riaprì era denominato in dollari e non in sterline e libero di subire oscillazioni (quindi non più vincolato alla barriera dei 35 dollari l’oncia).[3]

Il sito del London Gold Fixing riassumeva così questa tappa epocale verso la nascita del mercato moderno dell’oro: “1968 – Collasso della London Gold Pool e della difesa dei 35 dollari l’oncia, in seguito alla svalutazione della sterlina e alla pressione sul dollaro americano per gli eventi del Vietnam. La ‘pool’ perse quasi 64 milioni di once/2.000 tonnellate, il mercato dell’oro di Londra chiuse per due settimane; quando riaprì era denominato in dollari, non in sterline, un fixing pomeridiano fu aggiunto a beneficio di New York. Il prezzo dell’oro iniziò a muoversi liberamente, ma le banche centrali lo scambiavano ancora a 35 dollari l’oncia.”

L’atteggiamento della successiva amministrazione americana, guidata da Nixon, fu definito benign neglect. Questa “benigna negligenza” nei confronti di un dollaro sempre più debole, affiancato da un disavanzo della bilancia dei pagamenti crescente, peggiorò ulteriormente la situazione, con un notevole afflusso di capitali verso l’Europa. Questo anche per via delle mosse di politica monetaria della Banca Centrale Americana.[4]

La fine di Bretton Woods - mercato Oro

Di fatto, il disinteresse nei confronti della svalutazione del dollaro da parte della Casa Bianca era stato letto dagli operatori come un chiaro invito a puntare contro la divisa americana. Nonostante l’introduzione dei Diritti Speciali di Prelievo (DSP) del 1969 come nuovo mezzo di riserva, la convertibilità dollaro-oro era ormai in crisi.

Il crollo di Bretton Woods

Nella primavera del 1971 la Bundesbank, sulla scia delle pesanti vendite di dollari in arrivo, desistette dal mantenere il marco entro i limiti prefissati, lasciandolo libero di rivalutarsi. Pochi mesi più tardi, il 15 agosto 1971, “quota 35 dollari” capitolò. L’amministrazione Nixon decise di sopprimere la convertibilità del dollaro, facendo di fatto venire meno il primo pilastro degli accordi di Bretton Woods.

L’annuncio di Nixon relativo alla fine di Bretton Woods

Per far fronte alla situazione il Governo americano impose inoltre una tassa temporanea del 10% su tutte le merci importate negli USA, tagliò gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo, bloccò inoltre prezzi e salari. La fine della parità fra dollaro e oro a 35 $/oncia rappresentava l’epilogo di Bretton Woods, ma anche la nascita del mercato moderno dell’oro.

Anche il sistema valutario subì importanti mutamenti. Fra il 1971 e il 1973 i Paesi europei e il Giappone smisero di sostenere il dollaro: non vi era più un rapporto di conversione fissa fra le valute e la moneta americana. Si andava dunque verso un sistema di cambi fluttuanti.

Note – La fine di Bretton Woods


[1]. Stefan Mendelsohn, “Gold: Double or Quits”, Economist Newspaper Limited, p. 1. “If the monetary price can be held, as the Americans want, at its present $35 an ounce, gold’s important will diminish further. If the price is forced up, especially by the French and South Africans, gold will get a new lease of life”.

[2]. Specifica Mendelsohn nel medesimo studio: “In 1968 the total of dollars in foreign hands is has grown over the period from $9bn to $33bn, which is more than three times as much as the United States could redeem, if required, from its present gold stock” (da notare che il testo è stato scritto sul finire degli anni Sessanta e fa pertanto riferimento allo stock aureo della FED a tale data).

[3]. Da tale data i prezzi del London Gold Fixing iniziarono a essere fissati due volte al giorno, una al mattino e una nel pomeriggio (quando anche New York era aperta).

[4]. Nel 1969 i tassi adottati dalla FED erano del 9%, mentre nel 1970 furono notevolmente ridotti, fino a essere più bassi di quelli tedeschi. I tassi a breve arrivarono al 3,5%. Vi fu pertanto un deflusso di capitali dagli Stati Uniti verso l’Europa in seguito alle condizioni offerte sui tassi. Ma anche per la necessità di investire nelle economie trainanti del Vecchio Continente.


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