Dove si trova oggi la Borsa Italiana? Cosa si fa in Borsa? https://www.investire-certificati.it/category/borsa/ I migliori certificati di investimento li trovi su investire-certificati.it Sat, 03 May 2025 13:18:10 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.7.2 https://www.investire-certificati.it/wp-content/uploads/2021/06/cropped-android-chrome-192x192-1-32x32.png Dove si trova oggi la Borsa Italiana? Cosa si fa in Borsa? https://www.investire-certificati.it/category/borsa/ 32 32 La crisi dell’economia italiana: un viaggio fra problemi e speranze https://www.investire-certificati.it/la-crisi-delleconomia-italiana-un-viaggio-fra-problemi-e-speranze/ Fri, 02 May 2025 19:35:40 +0000 https://www.investire-certificati.it/?p=37302 Storia della Borsa, la rubrica curata da Fabrizio Fiorani, prosegue oggi con una puntata speciale: si esce da vicende strettamente legate alla borsa ed al trading per parlare dell’economia italiana. Gioie e (tanti) dolori, con una serie di problematiche, spesso decennali, che frenano la crescita economica dell’Italia. La crisi economica italiana: una lunga storia… Sono un […]

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Storia della Borsa, la rubrica curata da Fabrizio Fiorani, prosegue oggi con una puntata speciale: si esce da vicende strettamente legate alla borsa ed al trading per parlare dell’economia italiana. Gioie e (tanti) dolori, con una serie di problematiche, spesso decennali, che frenano la crescita economica dell’Italia.

La crisi economica italiana: una lunga storia…

Sono un “boomer” che è cresciuto professionalmente nel mondo della finanza ed ha vissuto sulla propria pelle le varie fasi della crescita e della crisi dell’economia italiana. Figlio dell’Italia in pieno sviluppo ho ricordi vividi di quegli anni. Forse la mia generazione è quella che più ha percepito i cambiamenti sociali e tecnologici degli ultimi 50 anni. L’esperienza sul campo mi ha fatto maturare ferme convinzioni sulle origini della crisi economica del nostro Paese che cercherò di descrivere.

Mi presento, ho 62 anni, i miei genitori sono di origini marchigiane ed emigrati in Francia per lavoro dove sono nato. Nel 1964 ci siamo trasferiti a Milano anche se io ho vissuto la seconda infanzia con i miei nonni in un piccolo paesino nell’entroterra marchigiano.

A 6 anni, con l’inizio delle scuole, sono rientrato stabilmente a Milano dove ho sempre abitato ed iniziato a lavorare in ambito finanziario nel 1983.

Il “miracolo economico italiano”

Fabrizio Fiorani “alla guida” della Vespa, uno dei simboli dei mitico boom italiano degli anni Sessanta.

Partirei dal cosiddetto “miracolo economico Italiano” dei primi anni 50/60. Usciti devastati dalla seconda guerra mondiale grazie alla nostra grande capacità artigianale, manodopera a basso costo, aiuti finanziari ricevuti dall’America (piano Marshall) e all’adesione alla Comunità economica europea (Roma 1957), il nostro Paese conosce un vero e proprio boom economico.

Lo Stato vara un imponente piano di opere pubbliche per ricostruire l’Italia, nascono rapidamente fabbriche in tutto il centro nord dove si raggiunge la piena occupazione, si registrano notevoli flussi migratori dal sud al nord, nasce l’industria delle vacanze e tanto altro. Attraverso i racconti dei miei genitori ed avendo vissuto da piccolissimo in una realtà dedita all’agricoltura ed alla pastorizia ho meravigliosi ricordi di quel periodo. I primi elettrodomestici, la Vespa del nonno, la Fiat 500 del papà, le gite al mare ed in montagna mi hanno fatto assaporare quell’atmosfera magica.

Negli anni 50/60 l’Italia è stata uno dei Paesi con la maggiore crescita economica ed è entrata a far parte degli Stati più industrializzati.  Purtroppo da quel momento qualcosa deve essere “andato storto” e quei livelli non sono stati più raggiunti.

La prima crisi economica

Un fatto esogeno che ha imposto una decisa svolta è stata la crisi petrolifera del 1973 che ha provocato una grave recessione a livello mondiale. Il fabbisogno energetico italiano dipendeva al 75% dalle importazioni di petrolio e l’aumento dei costi della materia prima ha avuto un forte impatto sulle spese di produzione delle nostre imprese.

Al fine di recuperare margini, molti imprenditori scelgono di appaltare parte della produzione ad aziende più piccole. Il processo di industrializzazione che era ancora giovane e vulnerabile subisce così un duro colpo. Si passa da un modello di produzione industriale concentrato ad un modello frammentato con una serie di conseguenze negative che si manifesteranno, come vedremo, anche nell’era della “globalizzazione”. Le piccole imprese per accaparrarsi le commesse, spesso sono costrette a ricorrere all’evasione fiscale ed al lavoro “in nero”. L’economia sommersa, con i connessi costi sociali e mancati introiti statali, contribuisce ad aggravare il disavanzo pubblico.

Circolo vizioso: “inflazione, scala mobile, inflazione”

In quel periodo e negli anni a venire le nostre imprese si sono inoltre trovate di fronte un sindacato forte e meccanismi di rivalutazione automatica delle retribuzioni dei lavoratori (accordo Agnelli-Lama sul punto unico di contingenza del 1975). Si è instaurato un circolo vizioso, con l’inflazione che, attraverso la scala mobile, faceva lievitare i salari che a loro volta facevano salire l’inflazione.

Un aumento dei costi delle materie prime e della manodopera superiore a quella dei concorrenti esteri ha provocato una perdita di competitività per le nostre imprese. Scaricare gli aumenti sui prodotti tendeva a ridurre le vendite (sia verso l’interno che soprattutto verso l’estero), non farlo significava contrarre i margini di profitto e l’autofinanziamento. L’inflazione inoltre bruciava parte dei risparmi e del potere d’acquisto degli stipendi con conseguenze negative sui consumi interni. Infine l’innalzamento dei tassi di interesse rendeva più onerosi i finanziamenti sia delle imprese che delle persone fisiche scoraggiando ulteriormente gli investimenti.

La crisi petrolifera del 1973

Tornando alla crisi energetica del 1973, l’Italia da una parte cercò di comprimere i consumi di energia attraverso misure di austerity fra le quali ho ancora presente il blocco totale del traffico pubblico e privato la domenica e successivamente l’introduzione delle “targhe alterne”. Dall’altra il nostro Paese nel 1975, col suo primo Piano Energetico Nazionale, decise di costruire nuove centrali nucleari. Tuttavia l’esito del referendum del 1987 decretò di fatto la fine del nucleare in Italia.

Borsa alle grida
La borsa di una volta… Sala trading anni Ottanta

Credo che indire quel referendum sia stato un errore. Il popolo spesso non ha le competenze per assumere certe decisioni strategiche che spettano ai politici eventualmente supportati da pareri tecnici.

Riporto le parole di mio padre riguardo ai tempi della costruzione dell’Autostrada del Sole (1956-1964): “fra amici spesso discutevamo sui terreni ed i raccolti che sarebbero andati distrutti per permettere la realizzazione di quell’opera non necessaria”. Fortunatamente non si richiese una consultazione elettorale, l’opera fu realizzata, diventò un simbolo di efficienza e permise un notevole impulso alla motorizzazione sia nell’industria che nel turismo.

Non possedendo grandi giacimenti di idrocarburi ed avendo rinunciato al nucleare non restava che cercare altre fonti ma, a parte l’idroelettrico, erano tecnologie nuove, con alti costi di installazione e tempi lunghissimi per rientrare dall’investimento. Di fatto ancora oggi l’Italia importa circa i 3/4 dell’energia dall’estero, i costi sono fra i più alti in Europa e la competitività delle nostre imprese è penalizzata. Sarà indispensabile installare nuova capacità energetica ripensando al nucleare (reattori di ultima generazione capaci di produrre energia pulita e in grande quantità) e puntando su fonti rinnovabili (energia solare, eolica, idroelettrica, geotermica, maremotrice e quella derivata dalle biomasse). La politica dovrà avere un ruolo chiave nel processo di transizione energetica attraverso incentivi e permettendo di superare lungaggini e impedimenti burocratici che rappresentano uno dei maggiori ostacoli agli investimenti.

Se lato costi energetici non andò bene maggiori risultati si raggiunsero, dopo circa un decennio, lato inflazione. A depotenziare la devastante spirale inflazionistica descritta in precedenza, sono intervenuti gli accordi Governo, Imprese, Sindacati del 22/01/83 (decreto Scotti) e del 14/02/84 (decreto di San Valentino) che hanno rispettivamente posto fine allo scontro sociale sindacati / industria sui contratti integrativi ed introdotto un taglio di 4 scatti alla scala mobile. Riguardo a quest’ultima nel 1985 la CGL, che non aveva acconsentito all’accordo, propose un referendum abrogativo dello stesso che inaspettatamente non sortì l’effetto da lei sperato. Occorrerà comunque attendere il 31 luglio 1992 per vedere l’abolizione definitiva della scala mobile da parte del Governo.

Crescita del debito pubblico

Ma un altro “bubbone” stava montando: la crescita del debito pubblico. Dagli inizi degli anni 70 il rapporto Debito/PIL era iniziato a salire sia per effetto degli stimoli all’economia necessari a contrastare la recessione ma anche per supportare società decotte e misure volte unicamente a guadagnare consenso elettorale.

Un esempio eclatante le baby pensioni. Introdotte nel 1973 consentivano nell’impiego pubblico di uscire dal mondo del lavoro dopo appena 19 anni sei mesi e un giorno per gli uomini e 14 anni 6 mesi e un giorno per le donne sposate con figli. Nonostante l’evidente squilibrio che si sarebbe determinato tra entrate ed uscite nelle casse dell’INPS, si riuscì solo nel 1995 a porre fine a quel privilegio che ancora oggi produce pesanti effetti. Dall’ultimo rapporto “Il Bilancio del sistema previdenziale italiano”, emerge che quasi 400.000 persone hanno iniziato, in media, a percepire l’assegno di previdenza a poco più di 39 anni e ricevono la pensione da oltre quarant’anni.

Un altro esempio che in passato mi ha lasciato perplesso riguardava le modalità di erogazione dei contributi statali per finanziare alcune opere. I fondi venivano assegnati non in base alla bontà del progetto ma dell’ordine cronologico della presentazione delle domande. Chi aveva informazioni privilegiate sui documenti richiesti dal bando del concorso risultava favorito a discapito di altri che avevano presentato progetti magari più validi. Come conseguenza, opere antieconomiche sono spesso rimaste incompiute o finite per essere inutilizzate.

Capire la crisi economica Italiana: il debito

Ci sarebbero un’infinità di altri esempi di “debito cattivo” che, non producendo sviluppo, si è riflesso nell’aumento del rapporto Debito/PIL gettando le basi per la crisi del debito pubblico.

Dal 1973 al 1981 la crescita del rapporto Debito/PIL è comunque ancora modesta (passa dal 55% al 60%). La Banca d’Italia dal 1975 ha l’obbligo di comprare i titoli di Stato non collocati sul mercato primario contribuendo a mantenere interessi nominali relativamente contenuti e tassi reali negativi. Per finanziare gli acquisti l’Istituto ricorre all’emissione di moneta che ha come controindicazioni un aumento dell’inflazione ed un indebolimento della Lira.

Nel 1981 però il divorzio consensuale fra Bankitalia e Tesoro costringe quest’ultimo a finanziarsi ai tassi di interesse richiesti dal mercato che crescono rapidamente. Si passa da tassi reali negativi a positivi e gli effetti “benefici” dell’inflazione sul debito scompaiono. Cresce la spesa per interessi ed il rapporto Debito/PIL sale dal 60% del 1981 al 122% del 1994.

obbligazioni

Rendimenti appetibili superiori anche al 20% annuo, unitamente ad una scarsa cultura finanziaria, hanno anche avuto come effetto collaterale quello di convogliare il risparmio degli italiani verso l’investimento obbligazionario a discapito di quello azionario. Come conseguenza le imprese sono state costrette a ricorrere al più costoso finanziamento bancario. La problematicità di reperire capitali di rischio ha inoltre comportato una minor patrimonializzazione delle aziende e la difficoltà ad effettuare investimenti remunerativi.

Una scelta miope dei nostri politici intenti ad accrescere i consensi nel breve periodo scaricando sul futuro i problemi derivanti. Nel novembre 2024 il debito pubblico italiano ha superato i 3.000 miliardi (135,8% del PIL), oltre 50.000 euro a cittadino italiano, neonati compresi. Un fardello enorme che grava sulle casse dello Stato con interessi per circa 90 miliardi annui (4,2% del PIL).

Un Paese con un debito elevato tende a crescere meno nel medio periodo perché i tassi di interesse risultano più alti, lo Stato ha minori risorse per sostenere l’economia, aumenta il grado di incertezza e questo scoraggia gli investimenti. Siamo tutti consapevoli che il debito pubblico non verrà mai ripagato ma quantomeno occorrerebbe cercare di ridurre il rapporto Debito/PIL attuando riforme strutturali volte a innalzare il tasso di crescita del PIL attraverso maggior produttività e competitività.

Instabilità politica

L’instabilità politica è stato un altro fattore che ci ha penalizzato. Dal 1946 ad oggi, in Italia si sono alternati ben 68 Governi. Nonostante la durata prevista dalla Costituzione per la legislatura che è di 5 anni, in media, i Governi italiani, sono rimasti in carica meno di un anno e due mesi. Se si esclude inoltre il periodo fra le dimissioni del Governo (che rimane in carica per svolgere solo l’ordinaria amministrazione) e l’insediamento del successivo, l’azione di Governo effettiva scende a poco più di un anno.

Un esecutivo che teme elezioni anticipate difficilmente intraprende riforme strutturali che solitamente richiedono sacrifici a breve e producono effetti positivi nel medio periodo. Inoltre per sostenere il Governo è stato spesso necessario ricorrere a coalizioni con partiti anche minori ma che con il 2-3% erano in grado di imporre le loro condizioni. Ricordo negli anni 80 il Pentapartito formato da ben cinque partiti (DC, PSI, PRI, PLI, PSDI) senza contare le “correnti” che componevano alcuni di questi ed in particolare quello della Democrazia Cristiana. Le difficoltà nel trovare una sintesi condivisa, la diversa composizione fra Deputati e Senatori e la necessità di approvare una legge nel medesimo testo sia alla Camera che al Senato non hanno agevolato rapidità ed incisività dei provvedimenti.

Governi di breve durata sono generalmente impossibilitati a costruire una direzione di marcia per il proprio Paese ed a rafforzare le relazioni con altri Stati per incidere sugli scenari internazionali. Occorre quindi apportare modifiche alla legge elettorale che agevolino la formazione di maggioranze parlamentari più stabili.

Mancanza di meritocrazia

In Italia un’altra questione è stata la mancata valorizzazione del merito in tutti gli ambiti della società. Dall’ideologia del 6 politico del 1968 a quella recente dell’uno vale uno non è cambiato molto. La preparazione universitaria è “debole” per mantenere livelli omogenei tra gli atenei, nelle assunzioni spesso contano le raccomandazioni e le carriere solitamente avvengono per anzianità.

Ai vertici delle amministrazioni pubbliche o delle società statali le nomine sono dettate da “affiliazioni politiche” con i vari Direttori che, restando in carica fino alla scadenza del mandato, possono trovarsi in contrasto in caso di variazione della maggioranza di Governo. Tali discorsi valgono anche per moltissime piccole imprese che collocano i familiari non solo nei board ma anche nelle posizioni esecutive. Genitori, figli, fratelli e cugini con personalità ed obiettivi diversi portano spesso a tensioni e conflitti che penalizzano l’efficienza operativa e la sostenibilità a lungo termine dell’impresa.

Anche a livello salariale conta di più la contrattazione nazionale piuttosto di quella aziendale. I differenziali salariali rispetto a quelli nazionali sono modesti e non correlati con la produttività delle imprese. Un’azienda di successo che scommette su nuovi investimenti e che fa innovazione, dovrebbe avere la possibilità di far partecipare agli utili i propri lavoratori. Un Magistrato che svolge bene il suo lavoro in tempi ragionevoli dovrebbe ricevere una ricompensa per il suo impegno. Prevale invece l’appiattimento generale e quindi la mancanza di stimoli al miglioramento.

Crisi economica italiana: la questione demografica

Un altro gravissimo problema per l’economia italiana è quello della crisi demografica. Da tempo assistiamo ad una tendenza al calo della natalità. Il tasso di fecondità (numero medio di figli per donna in età feconda) che fino alla fine degli anni 60 era stabilmente sopra il 2,5, dal 1970 ha iniziato una inesorabile tendenza alla discesa. Già nel 1977 si è portato sotto la soglia di 2 che rappresenta il livello “spartiacque” per la continuità demografica. Nel 2023 si è attestato a 1,20 che è un dato tra i più bassi al mondo, al di sotto della media europea e, per fare un raffronto con un Paese a noi vicino, nettamente inferiore a quello della Francia che nel 2023 era di 1,69. Si è registrata anche una tendenza costante all’innalzamento dell’età media delle madri al parto che si è portata da 27,47 del 1980 a 32,49 del 2023. Se dovesse rimanere questa bassa fertilità, con il passare del tempo si ridurrà la popolazione in età riproduttiva e questo influirà negativamente sulle nascite.

Molte le cause che inducono le coppie a non avere figli o a posticipare la data del concepimento: maggiore partecipazione al lavoro delle donne, complessità nel conciliare carriera e maternità, aumento del costo della vita, difficoltà di accesso a scuole materne pubbliche, costi elevati per l’istruzione, prolungamento della vita scolastica, entrata ritardata nel mondo del lavoro, precarietà occupazionale, stipendi bassi, difficoltà sul piano residenziale ecc. Oltretutto si sentono sempre più spesso coppie con problemi di fertilità dovuti a diversi fattori sia fisici che psicologici che ritardano o impediscono la messa al mondo di un figlio.

Immigrazione: un freno al calo demografico

L’immigrazione di cittadini stranieri ha, al momento, evitato un crollo demografico. Comunque la popolazione residente in Italia dal massimo di 60,8 milioni raggiunti nel 2014 ha iniziato un declino continuo che al primo gennaio 2024 l’ha riportata a 58,99 milioni. Di questi la popolazione residente di cittadinanza straniera era di 5,31 milioni (9%) e mantenere l’equilibrio non è comunque facile.

Una bassa natalità unitamente all’aumento delle aspettative di vita, si sono ripercossi in un invecchiamento della popolazione. Nel 1951 il rapporto fra bambini (sotto i 5 anni) ed anziani (sopra 65 anni) era di 1 a 1 mentre nel 2011, per ogni bambino c’erano 3,8 anziani e addirittura 5,8 nel 2023. Al 1° gennaio 2023, l’età media della popolazione italiana era di 48,4 anni, la più alta in assoluto dei Paesi della UE che registrava una media di 44,5 anni. Nel 2000 l’età media era di 40,1 anni quindi, in poco più di due decenni, si è innalzata di 8,3 anni contro ad esempio i 5,6 anni (da 39,8 a 45,4) della Germania.

Ad aggravare la situazione vi è anche la scarsa attrattività dell’Italia per i giovani. Secondo alcuni studi, per ogni giovane che arriva in Italia dai Paesi avanzati, otto italiani vanno all’estero. Dal 2011 al 2023, circa 550.000 ragazzi italiani tra i 18 e 34 anni sono emigrati. Un ulteriore danno economico rilevante è legato ai costi sopportati dallo Stato per l’istruzione degli studenti che poi vanno ad alimentare le competenze di altri Paesi impoverendo il nostro.

Una popolazione “anziana” rallenta la crescita economica: meno persone lavorano e la loro produttività è inferiore in quanto dotate di minor energia e fantasia e poco incentivate ad accumulare risparmi per garantire un futuro ai propri figli. Altro macigno è rappresentato dal peso crescente sui conti pubblici della spesa per pensioni e sanità.

La soluzione a questo grave problema sarebbe quella di destinare maggiori risorse a: sostegno alle famiglie con prole numerosa, agevolazioni lavorative per assistere i figli, servizi per la primissima infanzia, politiche attive per il lavoro ecc. Un’impresa di difficile attuazione date le scarse disponibilità ma necessaria in quanto la competizione fra i Paesi che si trovano in questa situazione, sarà nell’attrarre giovani qualificati per supportare il proprio sviluppo economico.

Divario di crescita economica fra meridione e settentrione

Un altro tema annoso è il minore sviluppo economico del sud rispetto a quello del nord che abbassa in modo considerevole il reddito medio pro capite. Sulle motivazioni dell’arretratezza del meridione ci sono diverse opinioni che fanno risalire l’inizio di questa tendenza intorno alla metà del 1800.

Territorio impervio ed infestato dalla malaria, reti stradali e ferroviarie assenti hanno condizionato l’agricoltura che era la principale attività del mezzogiorno. La mancanza di una visione imprenditoriale, anche a causa della presenza di grandi latifondisti, ha inoltre ostacolato al sud la formazione di una classe borghese moderna ed aperta all’innovazione.

Previsioni Italia

Si arriva alle guerre mondiali . Qui l’industria del nord può contare sulle commesse belliche (armi, munizioni ecc.) e su quelle per la ricostruzione mentre il richiamo alla guerra priva il sud dei contadini dediti all’agricoltura.

Lo scarso peso politico della classe latifondista meridionale rispetto a quella industriale del nord ed il maggior ritorno economico atteso dagli investimenti nel settentrione si fanno sentire anche nel periodo immediatamente successivo alla fine della seconda guerra mondiale.

Parte dei finanziamenti del piano Marshall destinati alla costruzione di nuove industrie nel sud vengono dirottati nell’apparato industriale del nord. Nel meridione le difficili condizioni economiche con tassi di disoccupazione elevati favoriscono l’insorgere di bande che si danno al brigantaggio.

Nel 1950 il divario tra il reddito pro capite del sud ed il resto del Paese tocca il suo punto di massimo. Viene perciò creata la Cassa del Mezzogiorno al fine di realizzare opere significative quali strutture idriche, viarie e volte allo sviluppo industriale. Tuttavia, con il passare del tempo, episodi di corruzione, infiltrazioni mafiose e mala gestione del denaro pubblico, fanno perdere efficacia alla qualità degli investimenti o addirittura le opere pubbliche non vengono completate. Il differenziale fra il reddito pro capite nord/sud mostra infatti una decisa tendenza alla riduzione fra il 1950 ed il 1970 salvo poi tornare ad ampliarsi e perdere buona parte del terreno recuperato.

Al parziale fallimento dello Stato si contrappone invece lo sviluppo della mafia favorita da pratiche clientelari che le assicurano una presa salda sul territorio.

Credo quindi che l’infiltrazione della malavita organizzata nella vita politica ed economica del mezzogiorno sia stata e continui ad essere il motivo per il quale molti imprenditori non investono su tali aree o se lo fanno devono necessariamente scendere a patti con esponenti della mafia. Il tarlo è talmente ramificato che si estende anche alle attività minori. Ricordo a Palermo un tabaccaio costretto a vivere costantemente armato nel proprio negozio dopo le numerose rapine e minacce personali subite dal “racket del pizzo”. 

La criminalità organizzata purtroppo si è diffusa al centro-nord Italia, in Europa ed in tutto il mondo. Un fenomeno di così ampio respiro potrà essere combattuto solo a 360°. Partendo dal basso attraverso uno sforzo collettivo che incida sulle nuove generazioni aiutandole ad avere strumenti di consapevolezza del problema, a livello superiore tagliando le relazioni con professionisti ed istituzioni e dall’alto con accordi fra Stati.

Burocrazia eccessiva

Un aspetto che influisce invece negativamente sulla crescita del nostro intero Paese è sicuramente il livello eccessivo di burocrazia. Quest’ultima infatti, oltre a far lievitare i costi delle imprese che devono dedicare personale a svolgere queste attività a discapito di quelle produttive, allunga i tempi di attesa per ottenere eventuali documenti o permessi scoraggiando gli investimenti anche esteri in Italia.

Tuttavia alcune regole ben dettagliate mi rendo conto siano necessarie in quanto la nota creatività del nostro popolo non sempre viene utilizzata a fin di bene. Due recenti esempi mi hanno colpito:

  • Siamo nel 2020 in emergenza COVID. Viene emanato un decreto di chiusura dei locali della movida alle ore 24 (senza stabilire l’orario di apertura). Alcuni bar chiudono a mezzanotte e riaprono dopo dieci minuti. Incredibile ma vero, siamo in Italia d’altronde.
  • 2021 – SuperCashback di 1.500 euro ai primi 100.000 partecipanti al concorso che effettueranno il numero maggiore di transazioni in un semestre con pagamenti elettronici (senza fissare un minimo a transazione). Molte persone effettuano migliaia di rifornimenti di carburante per pochi centesimi cadauno ai distributori. Il tutto per la disperazione dei benzinai che si vedono addebitare le commissioni bancarie.

Credo quindi sia necessario un processo di riduzione della burocrazia accompagnato da un’opera di educazione nelle scuole e nelle famiglie volta a diffondere già nei ragazzi la cultura della legalità, la conoscenza dei valori costituzionali. Ciò affinchè possano diventare cittadini consapevoli dei propri diritti e dei propri doveri, capaci di comportarsi con responsabilità nei confronti della comunità.

Corruzione

Altro tasto dolente riguarda la corruzione. Senza toccare il caso “mani pulite” o il caso “Enimont” (passato alla storia come “la madre di tutte le tangenti”), credo che questo tarlo in passato sia stato talmente ramificato da raggiungere anche le piccole attività.

Un aneddoto del 1983. Essendo nato in Francia mi son dovuto recate a Roma per richiedere il certificato penale necessario ad accedere alla Borsa Valori di Milano. L’addetto allo sportello mi ha però comunicato che il “cicerone” (francobollo particolare) da apporre sul documento era terminato e non poteva rilasciare il documento. Fortunatamente mi aveva accompagnato un mio zio romano che ha fatto immediatamente presente all’impiegato la nostra disponibilità a “pagà er disturbo”. Nonostante il mio imbarazzato in un attimo la banconota che avevo in mano è stata sostituita dal documento richiesto con tanto di cicerone.

La corruzione ha impatti negativi sull’economia in quanto vengono favorite le imprese in grado di corrompere per ottenere appalti che poi magari vengono realizzati in modo inefficiente. Oltretutto per cercare di arginare tale fenomeno si richiedono maggiori controlli e moduli da compilare che tendono a rendere più costose le opere ed a ritardarne la realizzazione.

L’indice di Percezione della Corruzione (CPI) di Transparency International che misura la percezione della corruzione nel settore pubblico e nella politica ha visto nel 2023 l’Italia classificarsi al 42° posto su una classifica di 180 Paesi in tutto il mondo. Sebbene il nostro Paese si trovi ancora nella parte bassa della classifica recentemente ha recuperato qualche posizione. In una scala di valori che va da 0 (corruzione massima) a 100 (minima), il punteggio dell’Italia nel 2023 è stato di 56, in miglioramento di 3 punti rispetto al 2020 e di 14 punti rispetto al 2012. La nota positiva è che ci stiamo lentamente avvicinando alla media dei Paesi dell’Europa occidentale che nel 2023 è stata di 65 punti.

Lentezza della giustizia

La giustizia civile italiana è fra le più lente d’Europa. Come prima considerazione si rileva che in Italia vengono introdotte una quantità di contenziosi civili estremamente elevata rispetto ad altri importanti Paesi europei. Fra le cause si può pensare ad una maggiore litigiosità degli italiani meno inclini a trovare un accordo extragiudiziale alle loro contese.

Giustizia in Italia

Un secondo motivo riguarda l’incertezza del diritto. Molte leggi non sono scritte in maniera chiara e si prestano all’interpretazione. Inoltre il giudice di primo e secondo grado può discostarsi dalle linee guida della Cassazione purché argomenti adeguatamente le sue scelte.

Altro elemento il numero eccessivo di avvocati iscritti all’Albo in Italia che potrebbero essere incentivati, per lavorare, ad introdurre cause anche quando non c’è possibilità di vittoria. Infine l’organico della Magistratura risulta sottodimensionato: 11,86 Magistrati ogni 100.000 abitanti rispetto ad una media di 22,2 delle altre nazioni indipendenti europee. Tutto ciò si traduce in un massiccio numero di cause pendenti che, avendo difficoltà ad essere smaltite, determina un ingolfamento della giustizia e la lentezza dei processi civili.

Questo fenomeno impatta negativamente sull’economia perché scoraggia gli investimenti, aumenta i costi legali ed amministrativi, sfavorisce lo sviluppo del mercato del credito, ritarda l’esecuzione dei lavori ecc. Uno studio del Cer-Eures del 2017 ha evidenziato che se i tempi della giustizia italiana fossero analoghi a quelli tedeschi, avremmo un aumento aggiuntivo di quasi 2,5 punti di PIL.

Convergenza ed entrata nell’Euro

Una scelta necessaria ma sofferta è stata quella di entrare a far parte dell’Euro. Al fine di indirizzare l’entità dei nostri alti rapporti di deficit di bilancio e di debito pubblico sul PIL verso i parametri richiesti, sono state attuate finanziarie “lacrime e sangue” che hanno pesato su occupazione e crescita. D’altro canto la riduzione dell’inflazione e dei tassi di interesse “indorava” la pillola amara.

Purtroppo dopo l’ammissione dell’Italia nell’Euro (avvenuta ad un cambio di 1.936,27) non sono state attuate politiche volte ad un recupero di competitività ma si è proseguito con le politiche inerziali inflattive. In particolare è mancato un controllo sui prezzi, tanto che, ai tempi si sentiva spesso dire: “tutto quello che prima costava 10.000 Lire ora costa 10 Euro (quasi 20.000 Lire)”. Maggiori costi di produzione hanno portato ad una perdita di competitività dei nostri prodotti nei confronti di quelli degli altri Paesi aderenti con riflessi negativi su esportazioni e crescita economica.

In passato, per recuperare competitività, si ricorreva alla svalutazione della Lira. Le imprese tornavano a “respirare” ma gli italiani con la liretta in tasca diventavano sempre più poveri nei confronti degli altri cittadini esteri. Già nel 1973 Celentano cantava “Svalutation” che, oltre a citare diverse problematiche di allora, poneva l’accento sull’inflazione e sulla svalutazione della nostra moneta.

Ricordo un amico marchigiano che lavorava in una fabbrica tessile che esportava principalmente verso la Germania. Nell’agosto del 1992 era stato messo in cassa integrazione ed era preoccupato per il suo posto di lavoro. L’imprenditore gli aveva spiegato che ogni Marco che riceveva dai clienti tedeschi valeva circa 760 Lire ed a quel cambio non era più in grado di coprire i costi.

Lo incontrai nuovamente dopo un paio di mesi, il Marco valeva intorno a 1.000 Lire e il suo capo gli aveva detto che sarebbe tornato a lavorare. Si concesse una vacanza per festeggiare ma, a differenza degli anni precedenti, non andò all’estero in quanto il viaggio era diventato troppo costoso. Andò peggio ad un altro amico di Milano. Qualche tempo prima aveva contratto un mutuo in ECU in quanto i tassi di interesse erano molto convenienti rispetto a quelli stipulati in Lire. Dopo la svalutazione della nostra moneta nel settembre del 1992 aveva però registrato una forte perdita in conto capitale ed era in difficoltà nel pagare la rata del mutuo.

Con l’adozione dell’Euro, non essendo più possibile ricorrere alla svalutazione (della Lira), l’unica strada percorribile per non perdere competitività è quella di puntare sul recupero di produttività e sull’innovazione di prodotto, strade più impegnative ma obbligate.

La globalizzazione

Il fenomeno della globalizzazione ha fatto emergere un’altra criticità per il nostro Paese che è stato da sempre caratterizzato da un sistema produttivo principalmente formato da piccole e medie imprese (PMI). “Piccolo è bello” si diceva ed in effetti lo spirito imprenditoriale e la creatività degli italiani, la rapidità nelle decisioni e la snellezza dei processi produttivi consentita dalle PMI, hanno rappresentato per decenni esempi di eccellenza nel mondo.

tasse
L’economia cambia

Con la mondializzazione dei mercati si è però verificata una forte correlazione fra dimensioni aziendali e produttività. Le imprese più grandi possono contare su economie di scala a livello produttivo, organizzativo, di conoscenza, di ricerca e tendono ad essere più produttive rispetto a quelle di dimensioni inferiori.

All’interno dei Paesi sviluppati l’Italia è quello con la più alta percentuale di micro e piccole imprese quindi, data la caratteristica di una bassa produttività di queste ultime rispetto alle grandi, risultiamo meno produttivi in confronto ad altri Paesi. Fra le motivazioni della mancata crescita dimensionale delle nostre aziende vi è la proprietà familiare. L’imprenditore ha difficoltà ad aprirsi a capitali esterni, per cui le società rimangono sottocapitalizzate e non riescono ad effettuare gli investimenti necessari a finanziare l’espansione. Altre motivazioni vanno ricercate nella bassa capacità dell’Italia di attrarre investimenti diretti esteri per i vari motivi descritti in precedenza.

Evasione fiscale

È nelle piccole/micro imprese e nei liberi professionisti che si annida oltretutto la piaga dell’evasione fiscale. Oltre all’ammanco per le casse dello Stato il rischio è che vengano favorite le aziende che pongono in essere pratiche di evasione fiscale a danno di imprese più capaci ma virtuose. Nel medio periodo ciò tende a generare un’economia meno efficiente.

Dal 2017 questo fenomeno in Italia è in calo costante e progressivo grazie all’importante recupero dell’IVA. Secondo l’ultima relazione pubblicata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze nel 2021 il cosiddetto tax gap (cioè la differenza tra il gettito fiscale e contributivo teorico e quello effettivamente incassato) era pari a 82,4 miliardi di euro (108,4 nel2017). Nell’evasione, la “parte del leone” la fanno ancora i lavoratori autonomi con oltre 29,6 miliardi (33,3 nel 2017) e un tax gap di circa il 67%, segue l’IVA con minori entrate valutate in circa 17,8 miliardi (in netta contrazione rispetto ai 35,6 del 2017). Nonostante detti importanti miglioramenti, con un tax gap nel 2021 del 10,8%, l’Italia rimane sopra la media europea che è del 5,3%.

Le misure introdotte per ridurre l’evasione stanno dando buoni risultati in termini di recupero di risorse finanziarie e sta cambiando anche la mentalità comune in merito a questo argomento. Fino a qualche tempo fa spesso sentivo definire l’evasore come una persona “in gamba”. Le giustificazioni erano una tassazione troppo elevata e che comunque se si fossero versate più tasse, lo Stato le avrebbe sperperate. Solo ultimamente l’evasione fiscale sta gradatamente assumendo un’accezione negativa e ci si rende conto che una riduzione della stessa potrebbe eventualmente consentire un abbattimento della pressione fiscale (“pagare tutti per pagare meno”).

Spesa pubblica

Un aspetto invece dove i risultati sono stati deludenti è quello sulla riduzione dell’enorme spesa statale. Da moltissimi anni il problema è considerato dai Governi e sono stati nominati anche Commissari straordinari alla “spending review” illustri come Enrico Bondi (Governo Monti) e Carlo Cottarelli (Governo Letta) solo per fare qualche nome. Purtroppo i risultati complessivamente non sono stati soddisfacenti anche per la mancanza di un adeguato supporto politico alle proposte effettuate.  Abbiamo una spesa pubblica annuale intorno ai 1.000 miliardi e un’analisi approfondita delle uscite permetterebbe di tagliare sprechi e liberare risorse da utilizzare in maniera più proficua.

Turbolenze economiche

Chiaramente quando un Paese è strutturalmente debole tende ad essere più vulnerabile in caso di turbolenze economiche. La crisi del 2008 dei mutui subprime partita dagli Stati Uniti ha provocato una grave recessione mondiale. I Paesi per contrastarla hanno aumentato molto i deficit di bilancio cosa che noi, con un enorme stock di debito sulle spalle, abbiamo potuto fare solo in minor misura.

Per non parlare della speculazione che, se vede un focolaio, lo alimenta per trarre profitto dall’incendio che ne dovesse divampare. Un esempio eclatante è stata la crisi dei debiti sovrani del 2011. Facendo leva su alcuni Paesi accomunati da situazioni finanziarie non virtuose (i cosiddetti “PIIGS”: Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) gli speculatori puntarono sulla disgregazione dell’Europa e l’Italia passò momenti drammatici con lo spread che, nel novembre 2011, si avvicinò a 600 punti. Nonostante un Governo tecnico guidato da Mario Monti che assunse provvedimenti drastici per riequilibrare i nostri conti, lo spread, dopo un’iniziale discesa, tornò sui 500 punti. Solo il Governatore della Banca Centrale Europea Mario Draghi riuscì a porre fine all’attacco speculativo ed a salvare Italia ed Euro nell’estate del 2012 pronunciando le famose parole: “Whatever it takes” («Nei limiti del nostro mandato, la Banca Centrale Europea è pronta a fare qualsiasi cosa per salvare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza»).  

Anche nella crisi del 2020 legata al COVID l’Italia ha sofferto più di altri Paesi e pure in questo caso l’Europa ha avuto un ruolo fondamentale nel salvataggio. Si è dovuto aumentare il deficit di bilancio ma gran parte del debito è stato contratto nei confronti della BCE (tecnicamente e legalmente della Banca d’Italia) evitando un eccessivo ricorso al mercato e quindi scongiurando speculazioni contro uno Stato ritenuto poco affidabile.

Ritardo tecnologico

Da dove nasce la crisi economica italiana? I problemi sono parecchi, ma possiamo dire che l’economia italiana è stata particolarmente colpita dalla concorrenza dei Paesi emergenti ed in particolare dalla Cina che dal 2001 è entrata nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). In soli due decenni la Cina è diventata il primo esportatore mondiale di beni e molte delle nostre aziende, che hanno cercato di competere sulla produzione di massa, sono state sconfitte.

Quelle che hanno puntato invece su prodotti di qualità hanno avuto maggiori chances anche se, molte aziende “top del Made in Italy”, sono state acquisite da holding finanziarie asiatiche o multinazionali straniere.

Il nostro Paese ha inoltre accumulato importanti ritardi nello sviluppo e nell’innovazione tecnologica rispetto alla media europea che, a sua volta, segue a distanza i grandi player come Cina e Stati Uniti. In un recente rapporto all’Unione Europea, l’economista Mario Draghi ha sottolineato che quest’ultima dipende dai Paesi stranieri per più dell’80% dei prodotti digitali, dei servizi, delle infrastrutture e della proprietà intellettuale. Tale percentuale è acuita soprattutto nei “chip” ma anche nell’intelligenza artificiale e nel cloud computing.

Una causa del ritardo dell’Italia sono i bassi investimenti effettuati in ricerca e sviluppo e nell’alta tecnologia. Si tratta di due settori che esercitano di fatto un ruolo limitato nel nostro Paese. La via maestra è ora quella di investire in ricerca e sviluppo ed avviare una transizione interna verso un’economia ad alto valore aggiunto.

Conclusioni

Le cause della crisi dell’economia italiana come abbiamo visto sono molteplici. Decisioni politiche dettate prevalentemente dal tornaconto personale, scelte imprenditoriali poco lungimiranti ed una certa negligenza degli italiani hanno da tempo portato l’Italia a “danzare pericolosamente sull’orlo del baratro”.

È veramente un peccato vedere il nostro meraviglioso Paese, con tutta la sua arte, la sua storia, le sue bellezze naturali, la sua imprenditorialità, il suo patrimonio enogastronomico un tempo invidiato da tutto il mondo in questa situazione. Qualche timido miglioramento si è recentemente notato ma non è abbastanza. È quindi indispensabile effettuare senza ulteriori indugi quelle riforme strutturali che sono state per troppo tempo rimandate.

Storia della Borsa

Un viaggio alla scoperta della “Storia della Borsa”: ecco la nuova puntata della rubrica curata da Fabrizio Fiorani. Qui di seguito i link per accedere alle precedenti puntate in questo avvincente viaggio fra trading e finanza!

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Andare in barca nel trading e negli investimenti https://www.investire-certificati.it/andare-in-barca-nel-trading-e-negli-investimenti/ Tue, 08 Apr 2025 09:04:16 +0000 https://www.investire-certificati.it/?p=37103 Non parliamo di “trading in barca”, ma di espressioni utilizzate nel gergo dagli operatori. Espressioni come “sono in barca”, “mi sono imbarcato”, “ho preso un transatlantico”, “sto remando” o semplicemente mimare con le braccia il gesto di remare in Borsa hanno sempre sottinteso di aver commesso un errore, talvolta anche di ampie proporzioni. Ma torniamo […]

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Non parliamo di “trading in barca”, ma di espressioni utilizzate nel gergo dagli operatori. Espressioni come “sono in barca”, “mi sono imbarcato”, “ho preso un transatlantico”, “sto remando” o semplicemente mimare con le braccia il gesto di remare in Borsa hanno sempre sottinteso di aver commesso un errore, talvolta anche di ampie proporzioni. Ma torniamo – con Fabrizio Fiorani – alla borsa gridata, cioè a quella che ci piace chiamare come Storia della Borsa.

Le espressioni della borsa: “andare in barca”

Ai tempi della “Borsa gridata” la catena di trasmissione dell’ordine era lunga ed avveniva perlopiù tramite comunicazioni telefoniche quindi qualche incidente di percorso era sempre possibile. Al Banco di Sicilia, dove ho iniziato a lavorare nel lontano 1983, l’iter era solitamente il seguente: l’ordine del cliente veniva raccolto dall’Agenzia che lo comunicava al borsino della Filiale che a sua volta lo trasmetteva telefonicamente a noi operatori di borsa. A questo punto compilavamo un foglietto che veniva consegnato all’agente di cambio per la negoziazione.

L’eseguito procedeva con un percorso esattamente inverso. Una decina di passaggi, dunque, con un iter che, oltre ad allungare i tempi fra il conferimento dell’ordine e la ricezione dell’esito da parte del cliente, presentava rischi dovuti a malintesi.

In Borsa oltretutto era sempre presente un rumore di sottofondo che rendeva difficili le comunicazioni. A tal proposito racconto un aneddoto che rende l’idea della situazione. Una volta telefonai a mia moglie in ufficio e mi rispose una sua collega. Alla mia richiesta di poter parlare con Loredana sentii dire: “un attimo prego, Lory, c’è una persona che chiede di te, fai presto perché credo stia telefonando dalla Stazione Centrale”.

Trader nella borsa alle grida: come ridurre gli errori?

Foto ordine Banco di Sicilia in duplice copia con parte superiore da consegnare all’agente di Cambio

Onde cercare di limitare gli errori noi operatori eravamo soliti porre in essere una serie di accorgimenti.

Per ridurre il disturbo di sottofondo nelle telefonate in Borsa usavamo impugnare la cornetta dello storico Siemens S62 «bigrigio» dal trasmettitore. Quando parlavi sollevavi leggermente le dita mentre quando ascoltavi le serravi onde evitare che il rumore risalisse dal trasmettitore, tramite la cornetta, al ricevitore.

Avevamo inoltre differenziato il colore dei foglietti degli ordini: verdi per le compere, rossi per le vendite. Anche il loro posizionamento era fisso: a sinistra la mazzetta degli acquisti, a destra quella delle vendite. Il tutto al fine di facilitare un riflesso condizionato. Quando sentivi: Comperare (vendere) le sinapsi ti portavano automaticamente a prendere il foglietto verde sulla sinistra (rosso sulla destra).

I prezzi lordi sull’ordine venivano scritti in nero mentre quelli al netto delle commissioni con agente di cambio e cliente in rosso. Un aneddoto. Per avere sempre a portata di mano le due penne e velocizzare il “cambio di colore”, nello scrivere i suddetti importi usavamo congiungere con il nastro adesivo una penna bic nera ad una rossa. C’era chi le univa nello stesso senso e chi capovolte. In quest’ultimo caso però, visto che si lavorava “gomito a gomito”, spesso si correva il rischio di macchiare la giacca del vicino collega. 

Commissioni di trading

Una volta concordata la percentuale di commissione con l’agente di cambio (ad esempio lo 0,5%), si condivideva una tabellina che riportava un importo fisso per “forchetta di prezzo” (esempio: da 980 a 1020, importo 5). La commissione da applicare al cliente invece ci veniva comunicata direttamente dalla Filiale credo sulla base dello stesso metodo ma chiaramente con percentuali nettamente superiori (dall’1% in su). All’esecuzione dell’ordine si provvedeva ad aggiungere (sugli acquisti) ed a sottrarre (sulle vendite) detti importi al prezzo lordo. Il tutto era calcolato “a mente” quindi qualche errore veniale poteva capitare. 

Borsa alle grida
Borsa alle grida – Fabrizio Fiorani – foto del banchetto di borsa dove si può vedere un esempio di come si impugnava la cornetta e, zoomando anche la doppia penna

Altra avvedutezza era quella di ripetere l’ordine facendo la massima attenzione ad ogni particolare. Si scandiva sempre il 6 ed il 7. Ad esempio nel ripetere 167 si comunicava: Centosessantasette, Sei, Sette, per non confonderlo con 177 che ribadivamo con Cento settantasette, Sette, Sette o tette tette come diceva qualche buontempone.

Quando si riceveva un ordine in acquisto limitato tipo a 999 (o in vendita a 1001) chiedevamo conferma del segno dell’operazione spiegando che solitamente il limite di 999 era tipico di un ordine in vendita (1001 di uno in acquisto). Nonostante queste ed altre accortezze era sempre possibile “imbarcarsi” e passare momenti non piacevoli.

Errori in borsa e nel trading

Rammento ancora la mia prima “ansia” legata ad un disguido accadutomi nei primissimi giorni di lavoro. Ricevo una telefonata dalla Filiale di Roma che mi trasmette un grosso ordine con tanto di codice cliente e commissione. Una volta ottenuto l’eseguito dall’agente di cambio lo comunico al borsino di Roma ma, con mia sorpresa, l’operatore mi dice di non essere a conoscenza di quell’ordine. Informo il mio capo e provvediamo a chiamare invano tutte le Filiali. Non sapendo più cosa fare, fortunatamente, ci giunge voce che la Filiale di Roma della BNL stava cercando a chi avesse trasmesso quell’ordine. Comprendiamo l’arcano e tutto si risolse positivamente.

Ricordo tante altre situazioni che non hanno avuto lo stesso esito favorevole. Anzi, nella maggior parte dei casi, la chiusura di una “barca” ha comportato una perdita più o meno ingente. Una raccomandazione era comunque quella di sistemare le posizioni, nei limiti del possibile, rapidamente, onde evitare che le condizioni di mercato peggiorassero ulteriormente la situazione.

Nella foto: il trading di una volta. Blocchetti ordini utilizzati dagli Agenti di Cambio per annotare a matita le negoziazioni effettuate. Un esempio di compravendita di 1.000 Fiat acquistate da Fumagalli e vendute da Belloni al prezzo di 5.000 Lire.

Il fattore tempo nel trading

La tempistica ha sempre giocato un ruolo essenziale. Per questo si richiedeva agli operatori delle Filiali di inviare, appena possibile, un telex con tutte le operazioni effettuate. Il back office le spuntava con la nostra “prima nota” e ci evidenziava le differenze. Sulla base di queste indicazioni si appurava se si trattasse di un semplice errore di battitura o effettivo. In quest’ultimo caso si provvedeva a sistemare il tutto tramite l’utilizzo del “conto errori”.

In casi particolari seguiva un’analisi delle motivazioni che avevano portato all’evento e si provvedeva ad implementare procedure atte ad evitare il ripetersi dell’errore in futuro. Nonostante tutti gli accorgimenti posti in essere però, eliminare la possibilità d’imbarcarsi è stata sempre un’utopia.

Sala Trading - borsa alle grida

Nella foto: trader in azione. Ufficio con abituale impugnatura telefono, nessun PC ma solo calcolatrici a rulli o di carta e tabulati

Nella buona e nella cattiva sorte

Il destino è beffardo ed a volte si diverte nel far seguire anche una minima negligenza da una serie di coincidenze negative che permettono di bypassare tutti i controlli e portate allo svarione. Anche nel caso precedentemente citato è incredibile come un contatto telefonico (o la composizione di un numero sbagliato) abbia fatto giungere la telefonata ad un altro operatore di Borsa (se avesse risposto una pizzeria non sarebbe successo nulla), che era solito ricevere chiamate dal borsino di Roma, che utilizzava codici clienti simili ai nostri e che ha messo in contatto due operatori inesperti (se avesse risposto il mio capo, sentendo una voce nuova, gli sarebbe sicuramente sorto un dubbio).

Con l’implementazione di procedure automatiche di trasmissione degli ordini di borsa, il passaggio alla borsa telematica e la diffusione dell’internet banking quel mondo è praticamente scomparso. Ora tutto avviene con la massima rapidità e precisione, la maggior parte dei clienti agisce in autonomia anche nella gestione dei suoi errori e le espressioni: “sono in barca”, “mi sono imbarcato”, “sto remando” ecc. stanno andando in disuso.
E se capita di aver notizia di errori, solitamente sono commessi da grandi operatori ed appartengono alla categoria denominata “Fat finger”.

Storia della Borsa

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Calendario Federal Reserve 2025 – 2026 https://www.investire-certificati.it/calendario-federal-reserve-2025-2026/ Sun, 15 Dec 2024 07:21:45 +0000 https://www.investire-certificati.it/?p=35469 Quale sarà il calendario della Federal Reserve nel 2025 e nel 2026? Vediamo le date da segnare in rosso sul calendario economico, con i meeting della Banca centrale americana. Le riunioni delle banche centrali sono uno dei principali market driver sui mercati. Fra tutte, la Federal Reserve, ricopre un ruolo chiave ed anche nel 2025 […]

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Quale sarà il calendario della Federal Reserve nel 2025 e nel 2026? Vediamo le date da segnare in rosso sul calendario economico, con i meeting della Banca centrale americana.

Le riunioni delle banche centrali sono uno dei principali market driver sui mercati. Fra tutte, la Federal Reserve, ricopre un ruolo chiave ed anche nel 2025 lo scenario non è destinato a cambiare. I mercati sono ansiosi di conoscere se la Banca centrale Americana riuscirà a proseguire il suo percorso di allentamento monetario, ossia ad abbassare i tassi come previsto anche nel 2025.

Calendario Federal Reserve 2025

Ecco di seguito il calendario della Federal Reserve per il 2025. Vediamo le date in cui si riunirà il FOMC, il braccio esecutivo della politica monetaria della Banca centrale americana.

  • 28-29 gennaio 2025
  • 18-19 marzo 2025*
  • 6-7 maggio 2025
  • 17-18 giugno 2025*
  • 29-30 luglio 2025
  • 16-17 settembre 2025*
  • 28-29 ottobre 2025
  • 9-10 dicembre 2025*.

Le previsioni economiche della Federal Reserve

Abbiamo indicato con un asterisco le date in cui i meeting del FOMC coincidono con il rilascio di proiezioni economiche riguardanti l’economia americana.

La Federal Reserve rilascerà quindi previsioni economiche nei meeting di marzo, giugno, settembre e dicembre 2025. Questo il calendario per la Fed nel 2025, con otto date, come da tradizione. Chiaramente in caso di “urgenze” o shock economici, la Banca centrale americana potrebbe convocare meeting straordinari, come avvenne nel 2020 con lo scoppio della pandemia. Dopo aver visto il calendario della Fed per il 2025, guardiamo avanti, con le date chiave per il 2026.

Calendario Federal Reserve 2026

Vediamo ora il calendario della Federal Reserve per il 2026, simile a quello del 2025 in termini di pianificazione. La Banca centrale americana, salvo esigenze particolari, si riunirà otto volte, rilasciando previsioni economiche in quattro occasioni, sempre a riunioni alterne.

  • 27-28 gennaio 2026
  • 17-18 marzo 2026*
  • 28-29 aprile 2026
  • 16-17 giugno 2026*
  • 28-29 luglio 2026
  • 15-16 settembre 2026*
  • 27-28 ottobre 2026
  • 8-9 dicembre 2026*.

Ecco, quindi, che anche nel 2026 la Federal Reserve assocerà i suoi meeting a previsioni economiche nei mesi di marzo, giugno, settembre e dicembre. Alla fine di ogni trimestre arrivano quindi gli outlook per l’economia della Banca centrale americana.

Previsioni Tassi della Federal Reserve USA

Quali previsioni per i tassi USA nel 2025? Ecco nel grafico seguente l’andamento dei tassi di interesse americani negli ultimi cinque anni al 15 dicembre 2024. Si notano i tassi vicino allo 0 per tutto il periodo della pandemia. Successivamente, per contrastare l’inflazione, la Federal Reserve ha alzato i tassi fino a portarli al 5,50%. E’ poi iniziato un percorso di tagli al costo del denaro, che ha portato i tassi al 4,75% con il meeting di novembre 2024 e verosimilmente al 4,50% entro fine 2024.

Quali previsioni per il 2025? Al momento i mercati si aspettano tassi fra il 3,75 ed il 4,20% per fine 2025. Arriveranno altri tassi, ma con gradualità. In altre parole, le previsioni sono per una divergenza fra i tassi europei – che potrebbero scendere verso il 2% – e quelli americani, destinati a rimanere più alti. Ciò in particolare dopo la vittoria di Trump alle elezioni USA, con le sue politiche economiche di dazi che potrebbero portare nuova inflazione negli Stati Uniti.

Tassi US Federal Reserve

Approfondimenti sulle banche centrali

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Analista finanziario di borsa https://www.investire-certificati.it/analista-finanziario-di-borsa/ Wed, 05 Jun 2024 07:30:00 +0000 https://www.investire-certificati.it/?p=33647 Come si diventa un analista finanziario in borsa? Ce lo racconta Fabrizio Fiorani, trader con quarant’anni di esperienza nel settore in questa nuova puntata di Storia di Borsa. Come si diventa un analista finanziario? Si dice che in Borsa occorre essere camaleonti per assecondare i mercati. Il detto vale anche nell’attività lavorativa che va adattata […]

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Come si diventa un analista finanziario in borsa? Ce lo racconta Fabrizio Fiorani, trader con quarant’anni di esperienza nel settore in questa nuova puntata di Storia di Borsa.

Come si diventa un analista finanziario?

Si dice che in Borsa occorre essere camaleonti per assecondare i mercati. Il detto vale anche nell’attività lavorativa che va adattata alle mutate condizioni dettate in particolare dallo sviluppo tecnologico. Nella mia lunga esperienza mi sono più volte dovuto “reinventare” per rimanere all’interno del fantastico mondo della finanza. Nato come Operatore titoli nel 1983, dopo qualche anno, alcune circostanze mi indussero a diventare Analista finanziario.

Dalla Borsa alle grida, alle SIM passando per il “gabbiotto”

Quando iniziai a lavorare al Banco di Sicilia, nel parterre di Piazza Affari, l’Istituto disponeva di due banchetti in grado di ospitare 8 operatori. Gli ordini erano raccolti telefonicamente dalle Filiali e trasmessi manualmente ad alcuni fra i principali Agenti di Cambio: Albertini, Aletti, Belloni, Boffa, Fumagalli, Giubergia, Leonzio, Matturri, Milla, Rezzaghi, Ventura e Zaffaroni. Diversificare fra intermediari con elevata professionalità ed affidabilità era opportuno, anche per limitare il “rischio controparte” tutt’altro che trascurabile ai tempi della “liquidazione a termine” e considerato i livelli di capitalizzazione degli Agenti di Cambio.

Borsa alle grida
Borsa alle grida – Fabrizio Fiorani

Nel 1987, per consentire il restauro di Palazzo Mezzanotte, le negoziazioni furono trasferite nel “gabbiotto”, un edificio prefabbricato collocato al centro di Piazza Affari. Alla Banca Commerciale Italiana ed al Credito Italiano furono assegnati due banchetti mentre a tutti gli altri istituti di credito, compreso il nostro, solo uno. La conseguente riduzione degli operatori rese necessario automatizzare il processo di trasmissione degli ordini.

Ai tempi il Banco di Sicilia deteneva una partecipazione in Euramerica della famiglia Nattino. Quest’ultima, tramite Finnat, offriva un efficiente servizio di trasmissione ordini e fu scelta dal nostro Istituto per automatizzare il processo. La collaborazione continuò anche dopo l’approvazione della legge sulle SIM del 1991 quando nacque Finnat Euramerica SIM S.p.A. con il Banco di Sicilia azionista al 49% del capitale.

Formazione all’attività di analista finanziario

Morale, dal 1987 mi ritrovai con più tempo libero da trascorrere in Ufficio e la Direzione mi suggerì di dedicarlo all’analisi delle società quotate. Oltre a supportare l’operatività in conto proprio del Banco (anche in relazione alla partecipazione ai consorzi di garanzia e collocamento azionari) la diffusione degli studi alle Filiali sarebbe stata un utile supporto agli Operatori titoli ed ai Consulenti finanziari nei rapporti con la clientela. 

L’incarico, pur impegnativo, mi entusiasmava e lo sentivo alla mia portata. Del resto ero diplomato in ragioneria e possedevo una grande confidenza con stati patrimoniali, conti economici, ratei, risconti, sopravvenienze, insussistenze e tutte le scritture contabili in partita doppia rigorosamente su “mastrini”. Inoltre nel primo anno di economia e commercio all’università Bocconi le mie materie preferite erano state economia aziendale, microeconomia e macroeconomia. In particolare analizzare sui grafici gli spostamenti della domanda e dell’offerta di beni rispetto a diversi accadimenti economici e la determinazione dei nuovi equilibri nei prezzi aveva magnetizzato la mia attenzione.

Oltre a ciò, fin dal primo giorno di lavoro alle “grida” mi ero prodigato nel cercare di capire quali fossero le cause dei movimenti delle quotazioni dei titoli ed il valore ipotetico di un’azienda. Acquistavo personalmente i pochi libri che trattavano la materia e che ancora oggi conservo: Come si legge il Bilancio (Gianni e Giuseppe Lo Martire – Buffetti Editore 1986), Come si calcola il valore di un’azienda (Adriana Carabellese – De Vecchi Editore 1986), La valutazione delle aziende (Luigi Guatri – Giuffrè Editore 1987), Il Bilancio consolidato di gruppo (Alberto Crusca – Pirola Editore 1987), Analisi Tecnica di Borsa (Virgilio De Giovanni, Marco Mottana – Ipsoa 1988), Analisi tecnica dei mercati finanziari (Martin J. Pring – McGraw-Hill 1989), Analisi tecnica dei mercati finanziari (A. Fornasini , A. Bertotti – Etas 1989).

Libro luigi Guatri valutazione delle aziende

Corsi per diventare analista finanziario

Inoltre il Banco, per aumentare la mia professionalità o semplicemente per allontanarmi dall’ufficio, mi aveva fatto frequentare diversi dei rari e costosissimi corsi da analista finanziario: “valutazione titoli azionari” (SDA Bocconi – maggio/giugno 1987), “seminario di analisi tecnica” (Borsa Report – febbraio 1988), “analisi tecnica dei mercati” (Analysis S.A. – giugno 1988), “corso per analisti finanziari” (IFAF Consedifin – da maggio ad ottobre 1988), “incontri con le società” (Assobat – aprile 1989), “valutazione azioni bancarie ed assicurative” (SDA Bocconi – settembre 1989), “analisi tecnica, fondamentale e gestione dei portafogli” (Banco di Sicilia – 1989), “il bilancio consolidato” (SDA Bocconi – gennaio 1990).

Consapevole della grande opportunità, da parte mia l’impegno era stato massimo. Alcuni di questi corsi si tenevano anche nel tardo pomeriggio / sera ed io sempre munito di registratore, riascoltavo le lezioni e trascrivevo dettagliatamente gli appunti che ancora oggi custodisco in un manoscritto di 600 pagine che racchiude gran parte del sapere finanziario di allora.

libri di finanza e trading

Grazie alle conoscenze acquisite in materia ero diventato, fin dal suo anno di costituzione nel 1988, socio S.I.A.T. (Società Italiana Analisi Tecnica) e, prima socio “aggregato” e poi socio “ordinario” A.I.A.F. (Associazione Italiana per l’Analisi Finanziaria). 

Quest’ultima aveva in quegli anni iniziato ad organizzare incontri con le società quotate, una novità assoluta riservata ai propri iscritti e di estremo interesse. Ai tempi le informazioni comunicate dalle aziende e riportate dai giornali economici erano tardive, sporadiche e generalmente si limitavano ai bilanci annuali. Partecipando agli incontri con il management della società e con l’azionista di riferimento avevi la possibilità di entrare in contatto con l’economia reale, di farti un’idea sulle problematiche esistenti e soprattutto sulle prospettive future del business. Ti sentivi un privilegiato ed in molti casi lo eri perché l’obbligo in capo alle società di comunicare informazioni potenzialmente “price sensitive” al mercato non era così stringente come l’attuale. Partecipavo a tutti gli incontri ed utilizzavo le informazioni ricevute ed il materiale distribuito per elaborare studi sulle società.

Ecco di seguito i passaggi di studio nella mia attività di analista finanziario in Borsa.

Analisi qualitativa

La prima parte del lavoro la dedicavo all’analisi qualitativa dell’azienda. Occorreva avere ben chiari i punti di forza e di debolezza, la qualità del Management e dei prodotti. Ma anche il livello tecnologico, la composizione dei clienti e dei fornitori e l’immagine che la società aveva sul mercato. Indispensabile anche un’analisi sulle prospettive di crescita del mercato nel quale operava ed il posizionamento competitivo che deteneva nel settore. Solo grazie a questa approfondita analisi era possibile formulare stime sulla crescita futura di fatturati ed utili.

Analisi reddituale

Come procedeva l’analisi delle società? Dopo l’analisi qualitativa passavo alla parte quantitativa. Se disponibile, iniziavo dal bilancio consolidato che da qualche anno veniva redatto dalle società e diventato obbligatorio solo dal 1991. Effettuavo la riclassificazione di stato patrimoniale e conto economico per rendere possibile l’immissione dei dati in un “foglio framework” che avevo impostato per calcolare automaticamente tutti gli indici di bilancio. 

Utilizzavo la “formula Modigliani Miller” per mettere in evidenza le componenti che contribuivano alla redditività dell’azienda. L’equazione di bilancio con la Redditività dei mezzi propri (ROE) quale funzione della redditività della gestione caratteristica (ROI), della “leva finanziaria”, della gestione straordinaria e delle tasse. Analizzando una serie storica dei dati cercavo di comprendere l’andamento degli stessi nel tempo e le motivazioni che avevano determinato eventuali variazioni del ROE.

Ad esempio, a parità di altre condizioni, un aumento del costo dell’indebitamento aveva ridotto il contributo generato dalla leva finanziaria e peggiorato la redditività. Poi comparavo questi valori con quelli di altre aziende del settore e con altri indici di investimenti alternativi quali il rendimento dei titoli di stato. Ecco nell’immagine seguente la formula Modigliani Miller.

formula modigliani miller

Lo studio dell’azienda

Successivamente scendevo in profondità nell’analisi delle determinanti della redditività della gestione caratteristica (ROI) attraverso l’elaborazione di una trentina di indici. Anche in questo, caso analizzando una serie storica dei dati, cercavo di comprendere nel dettaglio i fattori che avevano causato eventuali variazioni di redditività.

Ad esempio, a parità di altre condizioni, un aumento del grado di automazione, aveva migliorato la produttività dei dipendenti, ridotto l’assorbimento per spese del personale, aumentato la redditività delle vendite (ROS) e quindi la redditività della gestione caratteristica (ROI). Oppure un aumento della concessione di dilazioni di pagamento ai clienti (che avrebbe potuto denotare anche un sintomo di difficoltà nella vendita dei prodotti) aveva aumentato le liquidità differite, peggiorato l’efficienza della gestione delle attività correnti, fatto crescere gli investimenti effettuati per ogni lira di fatturato e quindi ridotto la redditività della gestione caratteristica (ROI).

ROI investimenti

Analisi finanziaria

Lo stesso programma elaborava una serie di indici utili a valutare lo stato di salute dell’impresa dal punto di vista finanziario. I rapporti fra i diversi valori dell’attivo e del passivo dello stato patrimoniale fornivano agevolmente un’indicazione sull’equilibrio della struttura patrimoniale della società. Più complessa invece risultava, se non fornito, l’elaborazione del prospetto sui flussi di cassa.

Dallo stato patrimoniale riclassificato calcolavo tutte le variazioni delle voci da un anno con l’altro e le allocavo in un apposito prospetto. Successivamente, analizzando il conto economico, effettuavo tutte le rettifiche per neutralizzare le componenti di carattere fiscale, straordinario, di politica finanziaria e di bilancio. Un lavoro complesso ma utile per valutare la capacità dell’impresa di rispondere in modo adeguato agli impegni assunti e di supportare lo sviluppo futuro.

Valutazione dell’ azienda

La parte più delicata era rappresentata dalla valutazione della società. Usavo diversi metodi, da quello patrimoniale del Price / Book Value, a quello finanziario del Dividend Discount Model per finire a quello reddituale del Price / Earning. Ogni metodo aveva le sue criticità. Nel primo caso, oltre alle difficoltà nel rettificare il patrimonio netto per azione (si pensi a beni materiali, immateriali, titoli, partecipazioni) ci si limitava a fotografare l’azienda in quel momento senza considerare gli sviluppi futuri. Questi venivano ipotizzati nel DDM ma le stime (tasso atteso di crescita dei dividendi, tasso di attualizzazione giudicato soddisfacente per l’investimento comprensivo del premio per il rischio) erano soggette ad elevata variabilità e condizionavano in misura importante il risultato finale. Anche nel P/E non era semplice stimare l’utile normalizzato prospettico e confrontare il rapporto con quello di società simili appartenenti allo stesso settore. In sintesi, cercavo di utilizzare metodi misti ponderando i pesi a seconda delle caratteristiche dell’azienda da valutare (dimensione, livello di impiantistica, società di persone ecc.) e del settore di appartenenza.

Analisi tecnica

Nella mia analisi finanziaria c’era spazio anche per l’analisi tecnica. Dal 1985 venne fondata ADB (Analisi Dati Borsa), una delle prime società in Italia ad offrire servizi telematici che comprendevano anche grafici di indici. Noi fummo fra i primi clienti della società e potevo quindi corredare l’analisi con il grafico dell’andamento del titolo di medio / lungo periodo con annesse medie mobili, linee di tendenza, supporti, resistenze ed eventuali configurazioni. Ai tempi l’analisi tecnica in Italia era pressoché sconosciuta e nessun giornale riportava grafici o commenti.

Solo nel 1988 Il Sole 24 Ore iniziò a pubblicare la domenica un “piccolo” grafico dell’indice Comit corredato da un breve trafiletto con indicazioni anche operative a cura del socio S.I.A.T. (ed uno dei miei primi “formatori”) Luigi Ravasi. Inviare quegli studi e illustrare certe configurazioni (testa e spalle, triangoli, flag ecc.) spesso suscitava l’ilarità di consulenti ed operatori che a volte mi appellavano bonariamente con il titolo di “apprendista stregone”. Io invece ero fermamente convinto che l’analisi fondamentale fosse utile per selezionare titoli con buone prospettive di crescita non ancora riflesse nelle quotazioni ma che, per il timing dell’acquisto, sarebbe stato opportuno avvalersi dell’analisi tecnica.

Conclusioni ed invio dello studio

A conclusione dello studio effettuavo un commento con indicazioni operative di medio periodo. Fortunatamente disponevo di uno dei primi programmi di videoscrittura ma, non esistendo ancora la mail, per inviare lo studio occorreva: fotocopiare, assemblare, imbustare, etichettare e inviare per posta interna alle Filiali che lo avrebbero ricevuto solo dopo qualche giorno. Il rischio era che, nei tempi tecnici di spedizione, accadessero fatti straordinari. Fortunatamente successe solo una volta relativamente alla Stet. Correva l’anno 1992 ed avevo appena inviato un’analisi positiva sul titolo quando la società annunciò l’acquisizione della Finsiel (Finanziaria Generale per l’Informatica) dalla sua stessa capogruppo (IRI) per un importo intorno ai 700 miliardi. La cifra fu giudicata eccessiva e finalizzata a far fronte alle esigenze finanziarie dell’Iri, il mercato non la prese bene e le azioni crollarono in borsa. In questo caso il ritardo temporale giocò a favore anche se non ci feci una bella figura. Successivamente le quotazioni si ripresero e chi mi diede fiducia comprò a prezzi scontati.

Quella di analista finanziario fu senz’altro un’esperienza impegnativa ma comunque estremamente positiva che si concluse nel 1994 quando, sempre per cause di forza maggiore, fui costretto a trasferirmi alla SIM Banco Napoli & Fumagalli Soldan. Anche in questa occasione mi “reinventai” trader e intrapresi un’attività pazzesca di scalping sul mercato azionario che mi riservò eccezionali soddisfazioni per quasi un decennio. Ma questa è un’altra storia…

Storia della Borsa

“Storia della Borsa” è una rubrica curata da Fabrizio Fiorani. Qui di seguito i link per accedere alle precedenti puntate in questo avvincente viaggio fra trading e finanza!

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Mediobanca, Storie di Borsa! https://www.investire-certificati.it/mediobanca-storie-di-borsa/ Sat, 18 May 2024 08:20:00 +0000 https://www.investire-certificati.it/?p=33390 Storie, aneddoti di Borsa d’altri tempi, ripartendo da Mediobanca e dal Banco di Sicilia. Con Fabrizio Fiorani ripercorriamo gli anni Ottanta in Borsa Italiana e il ruolo di Mediobanca in questo scenario. Mediobanca: un ruolo chiave su Borsa Italiana Quando nel 1983 iniziai a lavorare in Borsa Mediobanca era la protagonista indiscussa della finanza italiana. […]

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Storie, aneddoti di Borsa d’altri tempi, ripartendo da Mediobanca e dal Banco di Sicilia. Con Fabrizio Fiorani ripercorriamo gli anni Ottanta in Borsa Italiana e il ruolo di Mediobanca in questo scenario.

Mediobanca: un ruolo chiave su Borsa Italiana

Quando nel 1983 iniziai a lavorare in Borsa Mediobanca era la protagonista indiscussa della finanza italiana. Dalla sua nascita nel 1946 la banca d’affari guidata da Enrico Cuccia era stata al centro di tutte le vicende che avevano interessato il grande capitalismo del Belpaese. Anche come conseguenza di questo impegno, agli inizi degli anni 80, deteneva azioni di tutte le più grandi società come FIAT, Pirelli, Generali, Fondiaria, Italcementi, Olivetti, Mondadori, Caffaro, Montedison, Snia-Bpd, Burgo e Gemina solo per citare le più importanti. Tanto è vero che all’epoca sì era soliti dire che acquistare il titolo equivaleva ad investire sulla Borsa italiana. Dato che non esistevano strumenti che permettevano di replicare l’intero mercato (come gli odierni ETF per intenderci), questa caratteristica era apprezzata dagli investitori.

Aumenti di capitale e collocamenti azionari

La maggior parte delle società italiane, quando avevano problemi di natura finanziaria si rivolgeva a Mediobanca che si adoperava per trovare una soluzione che spesso sfociava in aumenti di capitale (con emissione di azioni, obbligazioni convertibili, warrant) o collocamenti obbligazionari. Alcuni “maligni” asserivano che la banca d’affari, per non perdere il cliente, era solita somministrare la cura necessaria a salvare il paziente da morte certa ma non in grado di guarirlo completamente.

Banco di Sicilia

Ai tempi lavoravo al Banco di Sicilia che era un’importante banca a livello nazionale con un grande passato alle spalle: uno dei più antichi istituti di credito in Italia (1849 anno di fondazione), istituto di emissione fino al 1926 e successivamente istituto di credito di diritto pubblico. Chiaramente il nostro Istituto era sempre invitato a partecipare ai consorzi di garanzia e collocamento organizzati da “via Filodrammatici”.

Servizio Borsa Titoli

Io facevo parte dell’Amministrazione Centrale, Servizio Borsa Titoli, ufficio Negoziazione che era composto da una dozzina di operatori, tutti con una grandissima esperienza finanziaria. Fra questi c’era anche il Capo Area finanza Dottor Nicastro che di anni sui mercati ne aveva già trascorsi 40. Non ricordo esattamente perché, ma mi incaricarono di seguire le pratiche inerenti ai consorzi. La cosa mi rendeva orgoglioso ma allo stesso tempo era un compito estremamente impegnativo.

borsa

L’iter era sempre identico. Il Dottor Notarbartolo del Servizio Finanziario di Mediobanca anticipava telefonicamente l’operazione al nostro Capo, il quale mi avvisava dell’imminente arrivo del telex. Io mi precipitavo a controllare che la telescrivente fosse perfettamente funzionante e nel giro di pochi minuti iniziava a stampare un foglio di una lunghezza mediamente compresa fra uno e due metri.

Il messaggio era estremamente riservato e conteneva la descrizione dettagliata dell’operazione, le tempistiche, le motivazioni, alcuni dati sulla società, il compenso a noi riconosciuto per la garanzia offerta e quello per l’attività di collocamento, la quota percentuale che eravamo invitati a garantire e le modalità da seguire in caso di accollo.

Storia della Borsa: le procedure

Le nostre procedure, per un tale impegno, richiedevano l’autorizzazione del Direttore Generale del Banco. Pertanto, occorreva inviargli una relazione che illustrasse l’operazione, ne valutasse gli aspetti positivi e negativi ed una nostra proposta di adesione.

I tempi erano solitamente ristretti quindi mi attivavo immediatamente. In primo luogo, valutavo le parità teoriche. Partendo dalle quotazioni dell’azione “cum” calcolavo il valore dell’azione “ex” ed il valore dei diritti. All’emissione di azioni a volte si accompagnavano anche warrant e/o obbligazioni convertibili, quindi, non era sempre facilissimo determinarne i valori, ma era comunque necessario. Un diritto consistente sarebbe stato infatti più cautelativo rispetto ad un diritto irrisorio.

Il valore del titolo

In secondo luogo occorreva stimare il valore del titolo “ex ante” ed “ex post”. Questa era la parte più impegnativa se consideriamo i mezzi di allora. Le comunicazioni delle Società non avevano la frequenza attuale e non esisteva internet dove reperire i dati. Fortunatamente noi eravamo soliti fotocopiare tutte le notizie sulle società pubblicate dai giornali e le raccoglievamo in apposite “carpette” intestate alle singole Società. Nei casi più fortunati riuscivo a recuperare un bilancio o una presentazione reperita in incontri con le Società che l’A.I.A.F. (Associazione Italiana per l’Analisti Finanziaria) aveva iniziato ad organizzare ed alle quali ero invitato come socio.

Dal 1985, dopo la costituzione di “ADB” (Analisi Dati Borsa), che offriva servizi telematici che comprendevano anche grafici, era invece più semplice effettuare un’analisi grafica del titolo per avere un’idea sull’andamento delle quotazioni.

Altro dato era infine rappresentato dalle azioni detenute dai clienti del nostro Istituto in quanto le eventuali loro adesioni, oltre all’introito derivante dalla commissione di collocamento, sarebbero state decurtate dalla nostra garanzia.

Analisi delle operazioni di Borsa

Illustravo quindi il tutto al nostro Capo Area Finanza che dall’alto della sua quarantennale esperienza non aveva difficoltà a valutare i rischi di accollo e le possibili conseguenze. Una cosa era certa: non si poteva “declinare” l’invito. In passato era stato fatto un tentativo ma la risposta era stata perentoria: “un eventuale diniego avrebbe potuto comportare l’esclusione da future operazioni anche di obbligazioni corporate che risultavano essere molto redditizie e graditissime alla clientela”.

Nei casi “a rischio accollo” era tuttavia possibile chiedere una riduzione della quota a noi proposta anche perché sicuramente la somma delle percentuali attribuite da “Piazzetta Cuccia” ai partecipanti era nettamente superiore al 100% (la mia idea è di almeno il 200%).

Una volta indicatami dal mio Condirettore Centrale la percentuale da proporre al Direttore Generale tiravo un sospiro di sollievo perché il lavoro era pressoché terminato. Mancavano solo le seguenti due frasi standard a conclusione del telex da inviare alla Direzione Generale: “Tutto ciò premesso si sarebbe del subordinato parere di aderire all’operazione in oggetto con una percentuale pari a X%. Nell’attesa delle superiori determinazioni si coglie l’occasione per porgere distinti saluti.”

Ricevuta l’autorizzazione non restava che inoltrarla a Mediobanca e attendere la nostra quota effettiva di partecipazione. Quest’ultima era solitamente inferiore a quella indicata inizialmente in particolare per quelle operazioni che non presentavano criticità rilevanti.

Aumenti di capitale… ma non solo

Un lavoro estremamente impegnativo, basti pensare che nel solo 1986 le operazioni di aumento di capitale sono state un centinaio. Moltissime hanno registrato un esito positivo. Al tempo stesso è capitato che il consorzio di garanzia in alcune sia dovuto intervenire. In questi casi era solitamente la Spafid (fiduciaria del Gruppo di Piazzetta Cuccia) che si occupava di gestire la vendita delle azioni inoptate.

Se avessi voluto invece evitare la procedura delle “vendite collettive” sarebbe bastata acquistare ad una cifra irrisoria un corretto numero di diritti ed aderire all’aumento di capitale. Le nuove azioni sottoscritte sarebbero state scalate dalla nostra quota di competenza e avrebbero potuto essere gestite autonomamente.

Storia della Borsa

“Storia della Borsa” vuole essere un viaggio alla scoperta dei mercati finanziari. La cura il trader Fabrizio Fiorani. Di seguito i link per accedere alle precedenti puntate in questo avvincente viaggio!

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Mid Point Order https://www.investire-certificati.it/mid-point-order/ Sun, 10 Mar 2024 13:14:20 +0000 https://www.investire-certificati.it/?p=32761 Regolamenti di Borsa Italiana e focus sul tema “mid-point order”. In data 26 febbraio 2024 Borsa Italiana ha pubblicato gli avvisi n. 7572 e 7574 contenenti le modifiche al Regolamento dei Mercati e alle relative Istruzioni precedentemente approvate dalla Consob che entreranno in vigore l’8 aprile 2024. Da tale data, in armonizzazione all’offerta del Gruppo […]

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Regolamenti di Borsa Italiana e focus sul tema “mid-point order”. In data 26 febbraio 2024 Borsa Italiana ha pubblicato gli avvisi n. 7572 e 7574 contenenti le modifiche al Regolamento dei Mercati e alle relative Istruzioni precedentemente approvate dalla Consob che entreranno in vigore l’8 aprile 2024.

Da tale data, in armonizzazione all’offerta del Gruppo Euronext, vengono introdotti i c.d. “mid-point order” per i mercati Euronext Milan ed Euronext Growth Milan (non sono ammessi nei mercati ETFPlus e Euronext MIV Milan).  

Cosa è il mid-point order?

Cosa si intende con “mid-point order” in borsa? La nuova tipologia di ordine rappresenta uno strumento che consente agli operatori di ottenere l’esecuzione delle proprie proposte di negoziazione al valore medio dello spread denaro – lettera visibile nel book di negoziazione trasparente. Il mid-point order, originariamente invisibile ai partecipanti, può essere inviato con o senza un limite di prezzo che funge da prezzo di esecuzione minimo per un ordine di vendita o massimo per un ordine di acquisto.

Gli ordini mid-point interagiscono tra loro solo in un apposito book di ordini non visualizzati (c.d. “Midpoint Dark Order Book” o “Non-Displayed Order Book”) e vengono eseguiti in base a una priorità dimensionale e temporale. 

Al momento dell’inserimento dell’ordine, l’operatore può inoltre richiedere che la propria proposta di negoziazione, qualora non trovi esecuzione completa all’interno del Midpoint Dark Order Book, venga inoltrata per l’eventuale quantità rimanete al book di negoziazione trasparente (c.d “funzionalità Dark-to-Lit Sweep”). In questo caso l’ordine mid-point, per la quantità che non ha trovato esecuzione nel Midpoint Dark Order Book, viene convertito in un ordine trasparente a cui si applicano tutte le normali regole del book di negoziazione. 

Ordini invisibili?

Praticamente ordini invisibili che confluiscono in un book invisibile (dove potranno essere eseguiti in tutto o in parte al prezzo medio fra denaro lettera presente nel book trasparente) con possibilità, qualora non totalmente eseguiti, di essere trasferiti per la quantità rimanente nel book trasparente e diventare visibili.

trading

Cerchiamo di capire il possibile utilizzo di tali ordini. Generalmente il loro impiego potrebbe riguardare in misura minore i titoli liquidi ma più che altro i titoli sottili. Per questi ultimi, infatti, la distanza fra il miglior denaro e la migliore lettera a volte può risultare ampia e, riuscire ad avere un eseguito al valore medio dello spread denaro lettera, può rappresentare un vantaggio.

Un altro utilizzo potrebbe essere relativo a proposte di negoziazione con size elevate specie su titoli poco liquidi che, se esposte sul book trasparente, potrebbero influenzarne l’andamento.

Cross Order

Per questi ordini esistono già soluzioni quali cross order e icerberg order. Il primo (cross order) prevedere l’abbinamento in fase di negoziazione di due proposte di segno contrario e di pari quantità, ad un prezzo compreso tra il prezzo medio ponderato per i volumi della migliore proposta in acquisto e della migliore proposta in vendita presenti sul mercato. In tal caso però occorre che l’intermediario abbia “in mano” i due ordini di segno opposto perfettamente combacianti o concordi con un altro intermedio la “seconda gamba” dell’operazione.

Iceberg Order

Il secondo (icerberg order) permette di inserire una proposta di negoziazione con limite di prezzo e visualizzazione parziale della quantità. A parte che sono previste quantità minime sia dell’ordine totale che della quantità visualizzata, succede che questi ordini possano essere comunque individuati. Infatti, se dopo l’esecuzione dell’intera quantità visualizzata si genera automaticamente una nuova proposta visualizzata con la medesima quantità (o residua rispetto al quantitativo totale) il mercato “mangia la foglia” e può reagire di conseguenza.

Mid-point order: pro e contro per i trader

Il nostro mid-point order potrebbe sopperire a diverse criticità sia del cross che dell’iceberg order. Può essere infatti eseguito anche parzialmente (non occorre che le quantità in acquisto ed in vendita combacino perfettamente), il matching può avvenire anche fra controparti inconsapevoli e sono difficilmente individuabili dal mercato.

D’altro canto, inserire ordini invisibili che stazionino all’interno del Midpoint Dark Order Book può avere anche aspetti negativi. Potrebbe succedere infatti che questi ultimi stazionino nel book “nero” senza essere visti ed eseguiti mentre nel book trasparente avvengono scambi a prezzi fattibili con quegli ordini stessi. 

Cosa cambia per gli investitori?

Per l’investitore retail di medio lungo periodo la nuova funzionalità, se ben utilizzata, potrebbe rappresentare un vantaggio. Dall’8 aprile, piuttosto che passare un ordine “normale” senza limite di prezzo o con limite superiore al prezzo medio fra denaro lettera del book, credo sia utile trasmettere un mid-point order munito della funzionalità Dark-to-Lit Sweep che faccia un passaggio preventivo all’interno del Midpoint Dark Order Book ed eventualmente trovi un’esecuzione totale o parziale.

Per lo “scalper” sui titoli sottili invece la questione è più controversa. Da un lato alcuni ordini potrebbero stazionare o essere eseguiti nel book “nero” non raggiungendo il book trasparente ed impedendo al trader di applicarli o di essere applicato. Dall’altro lato se dovesse essere eseguito in denaro o in lettera potrebbe trasmettere un mid-point order limitato per cercare di chiudere in tutto o in parte l’operazione all’interno del Mid point Dark Order Book.

Analisi a cura di Fabrizio Fiorani, trader indipendente. Ricordiamo, sempre a cura dello stesso autore, la rubrica Storia della Borsa – Dalla Borsa alle grida ai giorni nostri. Per chi invece cerca un focus sulle varie tipologie di ordini su Borsa Italiana, rimandiamo alla pagina specifica sul sito dell’exchange. Buon trading a tutti!

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Il calendario della Federal Reserve 2024 https://www.investire-certificati.it/calendario-federal-reserve-2024/ Mon, 01 Jan 2024 09:31:00 +0000 https://www.investire-certificati.it/?p=31709 Il calendario della Federal Reserve 2024 è stato stabilito. Le decisioni della Banca centrale americana verosimilmente porteranno una ventata di cambiamento. La Banca Centrale Americana è, infatti, in una fase cruciale per quanto concerne le decisioni di politica monetaria: dopo oltre due anni di rialzi dei tassi, il costo del denaro nel 2024 dovrebbe scendere. […]

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Il calendario della Federal Reserve 2024 è stato stabilito. Le decisioni della Banca centrale americana verosimilmente porteranno una ventata di cambiamento. La Banca Centrale Americana è, infatti, in una fase cruciale per quanto concerne le decisioni di politica monetaria: dopo oltre due anni di rialzi dei tassi, il costo del denaro nel 2024 dovrebbe scendere. Ma ovviamente nessuno conosce tempistiche e modalità dei tagli ai tassi di interesse, che dipenderanno anche dai dati macroeconomici in arrivo dall’economia americana. Le otto date del 2024 si prospettano, pertanto, degli appuntamenti significativi per l’economia mondiale.

I tassi FED e gli indicatori economici

Nel suo ultimo concilio di Dicembre, la Federal Reserve ha stabilito di non modificare i tassi per il terzo meeting consecutivo, mantenendoli tra il 5,25% e il 5,50%. La situazione dell’economia americana è sotto la lente d’ingrandimento di molti esperti, che ritengono che la FED stia aspettando che i dati confermino il trend ribassista dell’inflazione. I recenti indicatori economici, infatti, proietterebbero un rallentamento della crescita statunitense.

La crescita dell Prodotto interno Lordo (Gross Ddomestic Product negli USA) sarebbe prevista in calo dal 2,6% del 2023 all’1,4% del 2024. Inoltre, il prezzo per le spese in consumi personali (PCEPI – Personal Consumption Expenditures Price Index), dovrebbe scendere dal 2,8% del 2023 al 2,4% del 2024. Il tasso di disoccupazione, infine, unito a un rallentamento dei nuovi impieghi si stima possa peggiorare leggermente, passando dal 3,8% del 2023 al 4,1% del prossimo anno.

L’inflazione e le prospettive sui tassi 2024

Previsioni Tassi Federal Reserve

Cosa aspettarci, pertanto, dalle riunioni previste dal calendario della Federal Reserve 2024? La corrente narrativa parla di un’inflazione in calo, ben avviata sui binari che la porterebbero all’obiettivo del 2% in tempistiche non troppo ampie. La certezza, tuttavia, non c’è ancora e l’inflazione potrebbe risalire come successo tra luglio e settembre. Per questo motivo, la Banca Centrale americana, prima di abbassare i tassi, vuole vedere dei dati che confermino le indicazioni degli ultimi mesi.

Cosa si aspettano gli investitori per il mercato delle valute e per i tassi di interesse nel 2024? Sul fronte americano ci sono pochi dubbi. Il costo del denaro scenderà ed anche in maniera sensibile. Verosimilmente fra i 75 punti base (quelli del dot plot della Fed) ai 150 circa prezzati dal mercato, secondo quanto riportato dal CME FedWatch Tool per le stime di fine 2024.

Nelle ultime settimane, infatti, i mercati hanno assunto sempre più una posizione secondo cui l’inflazione sarebbe sotto controllo e non sarebbero previsti ulteriori incrementi dei tassi. Il picco è stato raggiunto. Una ragione che sicuramente accelererebbe la decisione dei funzionari della Fed per un taglio dei tassi sarebbe lo spettro di una recessione. Questo scenario, tuttavia, al momento sembra non essere il più gettonato nelle previsioni per il 2024 degli analisti.

Il calendario Federal Reserve 2024

Con questi presupposti, il calendario della Federal Reserve 2024 è di sicuro uno dei più rilevanti del panorama economico mondiale. Le sue date sono quelle riportate di seguito, al netto di riunioni straordinarie che possono essere convocate per scenari particolarmente rilevanti, come ad esempio avvenne allo scoppio della pandemia di Covid-19.

  • 30-31 Gennaio 2024
  • 19-20 Marzo 2024
  • 30 Aprile – 1° Maggio 2024
  • 11-12 Giugno 2024
  • 30-31 Luglio 2024
  • 17-18 Settembre 2024
  • 6-7 Novembre 2024
  • 17-18 Dicembre 2024

Ulteriori informazioni sul calendario FED 2024

Ogni due meeting (pertanto in occasione di quelli di Marzo, Giugno, Settembre e Dicembre), inoltre, viene pubblicato il “Summary of Economic Projections”. Con questo documento gli analisti e riportano le loro aspettative riguardo ai tassi di interesse, alla crescita economica, all’inflazione, alla disoccupazione e ad altri principali indicatori macroeconomici per il medio-lungo termine negli USA.

Ricordiamo che ogni decisione presa dalla Banca Centrale viene pubblicata sul sito della FED alle 2 di pomeriggio ora locale, che per l’Italia significa le 8 di sera. Le minute di ogni riunione, invece, vengono pubblicate tre settimane dopo.

Il calendario della Federal Reserve, così come le date dei meeting BCE sono fondamentali per gli investitori. Le decisioni dei banchieri centrali determinano spesso elevati picchi di volatilità su euro e dollaro, ma anche sugli indici azionari di borsa e sulle obbligazioni.

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Calendario Borsa Italiana 2024 https://www.investire-certificati.it/calendario-borsa-italiana-2024/ Sun, 31 Dec 2023 09:24:00 +0000 https://www.investire-certificati.it/?p=31725 Quando è chiusa la Borsa nel 2024? In quali giorni non si può fare trading su Borsa Italiana e quando è invece aperto l’exchange nel 2024? Borsa Italiana è aperta dal lunedì al venerdì. La borsa è invece chiusa al sabato ed alla domenica, oltre ad altri giorni (alcuni feriali, altri festivi). Ecco le date […]

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Quando è chiusa la Borsa nel 2024? In quali giorni non si può fare trading su Borsa Italiana e quando è invece aperto l’exchange nel 2024? Borsa Italiana è aperta dal lunedì al venerdì. La borsa è invece chiusa al sabato ed alla domenica, oltre ad altri giorni (alcuni feriali, altri festivi). Ecco le date da sapere.

Chiusure di Borsa Italiana

Secondo il calendario ufficiale del 2024, Borsa Italiana è chiusa nei seguenti giorni:

  • lunedì 1° gennaio, primo giorno dell’anno
  • venerdì 29 marzo (Venerdì Santo)
  • lunedì 1° aprile (Lunedì dell’Angelo, giorno successivo a Pasqua);
  • mercoledì 1° maggio (San Giuseppe e Festa del Lavoro);
  • giovedì 15 agosto (Festa dell’Assunzione, nonché Ferragosto);
  • martedì 24 (Vigilia di Natale), mercoledì 25 (Natale) e giovedì 26 dicembre (Festa S. Stefano); 
  • martedì 31 dicembre (S. Silvestro ed ultimo giorno del 2024).

La borsa è quindi chiusa anche in alcuni giorni feriali, come Venerdì Santo, la Viglia di Natale ed il 31 dicembre.

La borsa è aperta il 25 aprile?

Sì, Borsa Italiana è aperta il 25 aprile, anche se si tratta di un giorno festivo. Il Trading After Hours, però, sia il 25 aprile che il 26 aprile sarà chiuso.

La borsa è aperta il 1° novembre?

Sì, la Borsa è aperta. Il 1° novembre è invece chiuso il Trading After Hours.

Chiusure del mercato after hours di Borsa Italiana

Ecco le date in cui il trading after hours rimarrà chiuso. Spicca la chiusura ad agosto, nei giorni in prossimità di Natale e ad inizio anno.

2024
  • martedì 2, mercoledì 3, giovedì 4 e venerdì 5 gennaio; 
  • giovedì 28 marzo;
  • giovedì 25 e venerdì 26 aprile;
  • giovedì 1, venerdì 2, lunedì 5, martedì 6, mercoledì 7, giovedì 8, venerdì 9, lunedì 12, martedì 13, mercoledì 14, venerdì 16, lunedì 19, martedì 20, mercoledì 21, giovedì 22, venerdì 23, lunedì 26, martedì 27, mercoledì 28, giovedì 29 e venerdì 30 agosto;
  • venerdì 1° novembre;
  • lunedì 23, venerdì 27, lunedì 30 dicembre.

Approfondimenti

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La Borsa ad Agosto https://www.investire-certificati.it/la-borsa-ad-agosto/ Sun, 16 Jul 2023 12:56:42 +0000 https://www.investire-certificati.it/?p=28777 I mercati non dormono mai e la borsa non va in ferie nemmeno ad Agosto. Insomma, in borsa, anche in estate può non essere clima di vacanze. Ripercorriamo le vicende legate all’estate in borsa e più nel dettaglio al mese di agosto 1990 e 1991, con i racconti di borsa di Fabrizio Fiorani. La Borsa […]

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I mercati non dormono mai e la borsa non va in ferie nemmeno ad Agosto. Insomma, in borsa, anche in estate può non essere clima di vacanze. Ripercorriamo le vicende legate all’estate in borsa e più nel dettaglio al mese di agosto 1990 e 1991, con i racconti di borsa di Fabrizio Fiorani.

La Borsa è aperta anche ad Agosto…

Verrebbe da dire: “Agosto, Borsa mia non ti conosco”. Ho sempre considerato agosto il miglior mese dell’anno per lavorare a Milano. Fino a qualche decennio fa il caldo era generalmente sopportabile, il traffico scompariva, i parcheggi diventavano incustoditi e potevo utilizzare l’auto anziché “lo sposta-poveri”, ossia la metropolitana, per raggiungere l’ufficio vicino alla borsa di Piazza Affari con un notevole risparmio di tempo.

Ai tempi della Borsa Gridata in agosto anche le Corbeille apparivano meno affollate rispetto agli altri mesi dell’anno. Gli operatori di Borsa più “anziani” erano soliti andare in ferie ed affidare i loro incarichi a noi “giovani di una volta” che avevamo una grande opportunità di crescita professionale.

Investire in borsa ad Agosto

L’idea era quella di un mese con attività ridotta, ma non è sempre stato così. Spesso in quel mese si sono registrati avvenimenti che hanno provocato importanti oscillazioni di mercato. In particolare, ricordo la “doppietta” agosto 1990 e 1991 oltretutto intervallata da un periodo non proprio tranquillo.

Il 2 agosto 1990 ci pensò infatti Saddam Hussein a movimentare il mercato con l’invasione del Kuwait. Quella mattina ci svegliammo con la notizia che 100.000 uomini e 300 carri armati dell’esercito iracheno avevano invaso l’Emirato vincendone in poche ore la resistenza. La notizia sorprese i mercati. L’indice Comit in quella seduta perse circa il 3%. Si temeva la forza dell’esercito iracheno, che al tempo si diceva essere composto da un milione di uomini ben addestrati ed equipaggiati.

La reazione di una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti fu immediata e decretò l’inizio di un lungo periodo di incertezza che causò all’indice Comit una perdita del 14% a fine agosto e del 32% al giorno precedente l’inizio dell’operazione “Desert Storm” avviata il 17 gennaio 1991. Un agosto in borsa decisamente movimentato.

Guerra Kuwait

Agosto, volatilità in borsa

Fin dalle primissime ore di quella mattina, eravamo rimasti incollati alle TV che riportavano la cronaca degli attacchi aerei da parte della coalizione in Iraq e Kuwait trasmessa per la prima volta in diretta dalla CNN. Uno spettacolo terrificante con i cieli che si illuminavano di verde per effetto dei bombardamenti della coalizione e dei traccianti della contraerea irachena.  

Pronti per un crollo in borsa? Niente affatto. Scioccato da quelle immagini mi affrettai a raggiungere la Borsa con l’idea che avrei assistito ad una giornata negativa. Con mia sorpresa invece, quella seduta mise a segno un rialzo del 4,7%. Quel segno positivo fu giustificato dall’ipotesi di una rapida conclusione del conflitto. Era infatti risultata evidente la netta superiorità delle forze militari alleate rispetto a quelle irachene.

Il 26 febbraio le truppe fedeli a Saddam si ritirarono dal Kuwait ed il 28 ne venne dichiarata la liberazione e la fine della guerra del golfo. Durante il conflitto l’indice della Borsa Italiana, l’indice di borsa Comit mise a segno un recupero del 15,75% ma il bilancio dall’inizio dell’invasione del Kuwait rimase comunque negativo del 20%. Dopo variazioni così ampie il mercato si concesse una pausa di sei mesi, durante la quale oscillò lateralmente in un ristretto range. 

Storie di Borsa

Si arrivò a Ferragosto, con la speranza di trascorrere ben quattro giorni di meritato riposo. Purtroppo, appena il tempo di riporre il barbecue e smaltire i bagordi, quando domenica 18 agosto giunsero notizie di un colpo di stato in Unione Sovietica.

borsa

Un fatto grave ed inatteso, che costrinse molti operatori e gestori a rientrare precipitosamente dalle ferie, per assistere alla debacle del mercato che lunedì 19 agosto 1991 perse il 7%. Nei giorni successivi, nonostante il susseguirsi di notizie confuse provenienti dall’Unione Sovietica, la borsa mise a segno una serie di rialzi come ad anticipare una favorevole soluzione della situazione.

Quando il 22 Agosto fu appurato il fallimento del colpo di Stato e Gorbaciov rientrò a Mosca, la Borsa concluse la fase di recupero portandosi a circa l’1% dai livelli precedenti al golpe. Gli operatori rientrati dalle ferie poterono raggiungere nuovamente parenti ed amici nei luoghi di villeggiatura.

E fu così che, anche quell’agosto, ci riservò un’emozione breve ma intensa e insegnò a operatori e gestori di preferire ferie “on the road” o comunque in luoghi lontani dall’ufficio. Sicuramente un agosto in borsa senza lasciare recapiti telefonici (allora i telefoni cellulari erano ancora utilizzati da pochissime persone e nonostante questo si viveva alla grande).

Insomma, la Borsa ad agosto non sempre è sinonimo di vacanze… Buon mese di agosto e buone vacanze a tutti i lettori del sito e agli investitori!

Storia della Borsa

“Storia della Borsa” è una rubrica a cura di Fabrizio Fiorani. Di seguito i link per accedere alle precedenti puntate.

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La Borsa ed il Tempo https://www.investire-certificati.it/la-borsa-ed-il-tempo/ Sun, 23 Apr 2023 06:03:00 +0000 https://www.investire-certificati.it/?p=26029 La Borsa ed il tempo sono correlati? Il tempo influisce sulla Borsa ed il mercato finanziario? Il meteo riesce a condizionare l’andamento dei mercati finanziari? La risposta non è semplice anche se ci sono alcuni studi sull’argomento. Inoltre, dimostrare la correlazione tra due eventi così diversi è una impresa difficile i cui risultati si prestano […]

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La Borsa ed il tempo sono correlati? Il tempo influisce sulla Borsa ed il mercato finanziario? Il meteo riesce a condizionare l’andamento dei mercati finanziari? La risposta non è semplice anche se ci sono alcuni studi sull’argomento. Inoltre, dimostrare la correlazione tra due eventi così diversi è una impresa difficile i cui risultati si prestano a critiche di ogni genere.

La correlazione tra meteo e prezzi di Borsa

A prima vista non c’è una correlazione diretta tra il mercato azionario e il tempo meteo. L’andamento del mercato azionario è influenzato da una serie di fattori, tra cui l’economia globale, le politiche monetarie e fiscali, la domanda e l’offerta di beni e servizi, e le aspettative degli investitori. In genere, il tempo meteorologico non viene considerato un fattore significativo nell’influenzare il mercato azionario.

Tuttavia, in alcuni casi il tempo meteorologico può avere un impatto sull’economia e quindi sull’andamento del mercato azionario, ad esempio in caso di catastrofi naturali che causano danni significativi a infrastrutture e beni produttivi. In questi casi, il mercato azionario può subire delle fluttuazioni a causa delle ripercussioni economiche causate dal tempo meteorologico.

Il tempo altera il sentiment?

Il tempo, cioè il meteo, è un fenomeno sempre presente e spesso condiziona l’umore delle persone; quindi sembra logico che debba avere un certo impatto sugli operatori di Borsa e sull’andamento delle quotazioni ed indici di borsa. Per altro verso non c’è una evidente ragione logica per concludere che il cattivo tempo su Londra o un uragano su New York possano sistematicamente alterare le valutazioni ed il sentiment degli operatori finanziari in Borsa. Si tratta di un domanda curiosa ed interessante, ma a cui la finanza non è in grado di rispondere.

Colpa del tempo?

Quando il mercato scende a seguito di un evento meteorologico come un uragano o una bufera di neve, alcune persone dicono che la colpa è del tempo. Danni alla proprietà, lesioni o vendite perse a causa della chiusura dell’attività o dei consumatori che scelgono di rimanere a casa sono spesso i colpevoli identificati che collegano il maltempo alla scarsa performance del mercato.
La ricerca finanziaria, tuttavia, produce risultati contrastanti, con alcuni studi che mostrano un tale legame tra tempo e andamento di Borsa, e altri che non mostrano alcun legame del genere.

La ricerca sulla Borsa ed il Tempo

In pratica, non è difficile testare la correlazione tra la performance del mercato azionario e i dati dell’andamento meteorologico. Meteorologi e climatologi registrano tutto, dalla luce solare media alle correnti oceaniche, e la performance del mercato azionario è una questione di dominio pubblico.

Il trucco sta nel cercare di scegliere i dati giusti da confrontare. Gli studi sottoposti a revisione paritaria hanno risultati disparati e contrastanti. Un famoso esempio è stato “Weather-Induced Mood, Institutional Investors, and Stock Returns”, che è uscito dalla Case Western Reserve University di Cleveland nel 2014. Ha scoperto che i giorni relativamente più nuvolosi hanno aumentato il sovrapprezzo percepito nei singoli titoli e, di conseguenza, hanno portato a più vendita da parte delle istituzioni.

La Borsa ed il Tempo: gli studi

“Stocks and the Weather: An Exercise in Data Mining or Yet Another Capital Market Anomaly?” è uno studio specifico apparso su Empirical Economics nel 1997. Questo studio ha tentato di replicare uno studio del 1993 che mostrava che i prezzi delle azioni erano “sistematicamente influenzati dal tempo”. Lo studio del 1997 non poteva rifiutare l’ipotesi nulla, ammettendo alla fine “che non sembrava esistere alcuna relazione sistematica“.

Il problema con l’empirismo

Ci sono problemi di metodo e di complessità. Il metodo scientifico funziona meravigliosamente in fisica o in chimica, dove i test indipendenti sono controllati e le variabili sono isolate, ma nessuno può eseguire test controllati sull’ecosistema o sull’economia globale.

I sistemi sono troppo grandi per essere replicati e troppo mostruosamente complessi per essere compresi appieno. I dati hanno i loro limiti e il meglio che un analista di mercato può sperare è mostrare la correlazione, non la causalità.

La regressione

Quando si usano i modelli causali in economia o scienze ambientali si sta cercando ed usando la regressione. I modellisti devono identificare quali fattori sembrano rilevanti o irrilevanti e devono disporre di dati affidabili e comparabili su tutti i fattori rilevanti.

Devono anche ponderare le variabili rilevanti e aggiungere controlli per possibili corruzioni o distorsioni. Molti di questi modelli sono sofisticati e matematicamente belli, ma non possono mai da spiegazioni compiute di ogni potenzialità.

La Borsa ed il Tempo: le Teorie

Una teoria ragionevole sul tempo e Wall Street suggerisce che il maltempo interrompa i processi aziendali, le catene di approvvigionamento e i movimenti dei consumatori, tra gli altri fattori. In effetti, i media finanziari spesso giustificano un trimestre di lenta crescita del prodotto interno lordo (PIL) o la performance della Borsa con i problemi od eventi Meteo. Sebbene sia un’idea popolare, non tutti sono d’accordo.

Diversamente una corrente di pensiero afferma che i mercati sono isolati dai problemi meteorologici. I mercati infatti valutato ogni cosa con piccole reazioni al ribasso/rialzo dei mercati.

Finanza comportamentale

Una teoria alternativa, derivata dalla finanza comportamentale. Questa teoria è un ramo della finanza che si occupa di studiare il comportamento degli investitori e delle decisioni di investimento. Si basa sull’assunto che gli individui non sempre agiscono in modo razionale e che le loro decisioni di investimento possono essere influenzate da fattori emotivi, cognitivi e ambientali.

Vengono utilizzati metodi quantitativi e qualitativi per analizzare i comportamenti degli investitori e per sviluppare modelli che possono prevedere e influenzare le loro decisioni. La finanza comportamentale può aiutare gli investitori a comprendere meglio i propri comportamenti e a prendere decisioni più informate e razionali in materia di investimenti.

Una teoria alternativa

borsa pioggia

Una teoria della finanza comportamentale afferma che il tempo influisce chiaramente sull’umore e che l’umore influisce chiaramente sul comportamento degli investitori. Questo collegamento sembra un buon argomento per i rendimenti azionari influenzati dal clima, ma probabilmente non è così forte come lo fanno sembrare i suoi sostenitori.

Ad esempio, non è sufficiente dimostrare che il tempo influisce sull’umore; deve essere dimostrato che il tempo influisce sull’umore in modi che alterano il processo decisionale sulle transazioni in titoli. Nonostante i molti studi di finanza comportamentale, gli economisti non hanno davvero le risposte accettabili.

La Borsa di Istanbul

Uno di questi studi, condotto tra il 2009 e il 2011 presso la Borsa di Istanbul in Turchia, ha rilevato che il comportamento degli investitori non è stato influenzato da giornate soleggiate, giornate nuvolose o durata del sole, ma che è stato probabilmente influenzato dal “livello di nuvolosità e temperatura .”

Un altro studio della UC Berkeley, pubblicato su Undergraduate Economic Review nel 2011, ha concluso che “la luce del sole influisce sull’umore e l’umore può modellare il comportamento” e ha trovato una “relazione significativa” tra la luce del sole e i prezzi delle azioni nel mezzo secolo precedente.

Un altro studio non rileva alcun effetto dalle giornate di sole in Turchia, ma uno studio concorrente sostiene che il sole influisce sulle prestazioni di Wall Street. Allora ci si domanda se teoricamente sia possibile che il sole influenzi i trader turchi in modo diverso rispetto ai colleghi newyorkesi. La conclusione più ragionevole è che l’economia e la regressione basata su modelli non sia realmente ancora pronta a gestire una relazione causale così intricata. La relazione tra la Borsa ed il tempo rimane ancora un mistero.

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